Esaurita l’analisi economica, Loos affronta ora la questione estetica, scagliandosi ovviamente contro lo “Stile Secessione” viennese: il quale altro non è che il tentativo, contemporaneo a Loos stesso, di adeguare l’ornato alle nuove necessità di decoro. Dopo aver negato che, dal punto di vista antropologico, possa esservi alcun rapporto fra ornamento e civiltà moderna, e facendo leva sul tema darwinistico del decoratore “ritardatario” e “patologico”, Loos si chiede: “Dove saranno tra dieci anni le opere di Olbrich?”. Alcune, più precise notazioni storico-critiche spettano ad altri, e noi ci limiteremo qui ad alcune considerazioni generali.
Innanzitutto una constatazione: oggi chiunque può rendersi conto che i signorili quartieri costruiti in stile Liberty (denominazione che, come è noto, è l’equivalente italiano dei vari Sezessionstil, Jugendstil, Art Nouveau, Modern Style), tali sono rimasti, cioè signorili. Viceversa i più recenti quartieri costruiti secondo l’idea loosiana che “le vie delle città risplenderanno come bianche muraglie! Come Sion, la città santa, la capitale del cielo”, non esitiamo a definirli squallidi e degradati. Ne è un esempio paradigmatico la banlieue parigina, costruita con programmatico e razionale spirito modernista, ed oggi tutt’altro che “capitale del cielo”, anzi, teatro di frequenti rivolte dovute al degrado sociale che induce in coloro che la abitano. Si potrebbe anche constatare come la ornatissima Roma barocca sia oggi più che mai meta del turismo di massa, mentre i razionali quartieri periferici – Centocelle, Tor Vergata, la Magliana, eccetera – non interessano a nessuno. Ma come? Se l’evoluzione della civiltà è inarrestabile, siamo forse tutti ritardatari, patologici, incivili? Ogni commento è superfluo.
Una breve digressione sul Liberty, però, è necessaria. Fermo restando il fatto che la sua ornamentazione non è oggi riproponibile tout court, per il già esplicitato processo di logoramento ciclico dell’ornato, la struttura d’insieme rimane invece molto interessante per noi. Il Liberty rappresenta l’ultimo anello, agganciato alla modernità, della grande decorazione classica. Il lessico, la sintassi e i temi sono quelli della decorazione canonica, ma i materiali, le procedure produttive e gli esiti estetici sono compatibili con il gusto e la cantieristica edile contemporanea. In sintesi, tolti gli elementi floreali, il Liberty costituisce ancora un buon terreno per ricostruire, oggi, con una decorazione canonica dell’architettura contemporanea, se si risolve, però, il problema della qualificazione delle maestranze. Infatti, il “sano” operaio loosiano, “incapace di inventare un solo ornamento”, che, costruisce le “bianche muraglie” dell’architettura moderna, subisce oggi la concorrenza di un operaio ancora più “sano”: l’extracomunitario che per dieci euro al giorno, in nero, lavora dodici ore. L’esempio fatto sulla camicia “liscia”, si adatta alla cantieristica edile contemporanea: qualunque cretino è in grado di fare un muro “liscio”, così come qualsiasi architetto è in grado di progettarlo. I “pochi malati” che costringevano gli altri “ad eseguire nei materiali più diversi gli ornamenti che loro stessi inventano”, non ci sono più. Così, questa “sana” generazione di architetti, impresari edili e muratori, felice della propria salute ma con un potere contrattuale personale “liscio” (cioè inesistente), si sta facendo la guerra sui prezzi al ribasso, precipitando nel baratro della più bieca edilizia speculativa, che, con buona pace dello “spreco di capitale”, rimane sempre più invenduta.
Analizzare le conseguenze dello scoppio della cosiddetta “bolla speculativa” sul mercato immobiliare ci porterebbe lontano, così come troppo complesso sarebbe affrontare in questa sede il discorso sulla sedicente architettura contemporanea, che si vanta di non essere arte ma al tempo stesso non riesce a diventare scienza e si affanna a cercare i propri assiomi culturali nelle discariche della sociologia, eleggendo di volta in volta a proprio modello estetico le carte stropicciate, i cocci di bottiglia o i rotoli di carta igienica. Il punto in questione è il seguente: le “bianche muraglie” sono sempre state squallide ma, oggi, sono anche culturalmente obsolete. E l’ornamento loro connesso, cioè la superficie monocroma-melange-minimalista, che, con buona pace di Loos, è comunque stato applicato (spesso con “spreco di capitale”: si pensi agli effimeri rivestimenti in pietra artificiale dei muri in cemento per renderli “caldi”), è indecoroso. L’usura ciclica dell’ornato ha colpito anche la modernità, che, dopo averlo cacciato dalla porta, lo aveva poi fatto entrare dalla finestra, sotto forma di incrostazioni lapidee. La necessità di un nuovo Decoro torna a porsi oggi con drammatica urgenza.
Se, di fronte ad un analogo problema, Olbrich poteva chiudere con l’eclettismo ottocentesco e attingere direttamente alla fonte comune dell’Arte della Decorazione per ricavarne nuovi ornati e topiche, ciò è oggi impossibile ai suoi successori contemporanei. Questi si trovano infatti nell’impossibilità: a) di accedere al repertorio ornatistico canonico, per averlo considerato delittuoso per oltre un secolo; b) di abbeverarsi alla fonte della cultura, cioè l’Arte, per essersene voluti staccare, interpretando l’architettura come scienza sociale.
Del Palazzo della Secessione di Olbrich si può dire tutto, esaltarlo come modello o additarlo come errore. Sta di fatto che chiunque lo voglia superare ha di fronte a sé molte opzioni, perché si tratta di architettura viva, cioè di un ramo vitale, seppur molto fiorito, della millenaria pianta dell’architettura occidentale. Loos ha reciso questo ramo, proponendo un’artificiosa architettura dalle “bianche muraglie”, ma ha consegnato ai suoi successori un ramo secco. Che dire allora di fronte ai suoi annichilenti cubi? Come superarli se non distruggendoli? Dopodiché, le opzioni sono esaurite.
Il cul de sac in cui si è cacciata sia l’architettura, sia, in generale, l’estetica contemporanea del cubo è sotto gli occhi di tutti e bisognerà cominciare trarne le conseguenze. Un’altra via all’architettura moderna era possibile. Olbrich lo testimonia, e così pure Piacentini, nonostante la damnatio memoriae. Ma un ideologismo cretino, facinoroso e saccente l’ha sbarrata. Col senno di poi, sorge il dubbio che proprio quella fosse la via giusta.
In alto: Otto Wagner, Edificio Postsparkasse (particolare della facciata), 1904-12, Vienna. Sotto: Josef Maria Olbrich, Palazzo della Secessione, 1898, Vienna.