Dal 4 maggio al 2 giugno 2012, l’Accademia di Belle Arti di Bologna ha ospitato una personale della pittrice brasiliana Dina Oliveira (Belém, 1951) dal titolo Sulla pianura. Verde, caldo, umido. Il catalogo edito dall’Accademia è a cura di Beatrice Buscaroli. Artista e architetto, coi suoi acrilici su tela di dimensioni grandi ma mai smisurate, Oliveira parla un linguaggio ben radicato nella tradizione dell’arte astratto-concreta del secondo novecento. I suoi omaggi caldi ed effervescenti alla natura rigogliosa, ai paesaggi stratificati, all’incredibile varietà biologica dell’Amazzonia, riprendono e amalgamano la lezione di artisti europei come Santomaso, Afro, Bazaine, Manessier, Poliakoff, o americani come Congdon, Still, Mitchell, Frankenthaler. Nulla di nuovo quindi, se per “nuovo” si intende lo strano e il diverso ad ogni costo.
Ma appunto qui sta il motivo di interesse: Oliveira è artista tecnicamente ferrata, suadente, che non indietreggia di fronte ai virtuosismi ed anche al pericolo di una certa retorica vitalistica. E proprio per questo chiede di essere guardata e giudicata non come “inventrice” di qualche occasionale trovata, ma per come declina e pronuncia, a suo modo, nel suo dialetto, argomenti pittorici che hanno già una storia, un repertorio, un retroterra dalle qualità e dai sapori riconoscibili. Coi suoi pregi e limiti, quella di Dina Oliveira non è più, come accadeva di vedere ai padiglioni sudamericani delle Biennali di Venezia di qualche decennio fa, una proposta vagamente fuori tempo, il prodotto di un Terzo Mondo che rincorre i paesi culturalmente più evoluti ma arriva sempre in ritardo. È il prodotto di un Primo Mondo che si sta formando a tutte le latitudini, voltando le spalle alle poetiche del caso, del fai-da-te, delle macerie e dei frammenti che sono la vera arte accademica di oggi.
In alto: Dina Oliveira, Verde (particolare), 2012, acrilico su tela, cm. 180 x 120. Sotto: Dina Oliveira, Materia encarnada, 1990, olio su tela, cm. 100 x 120.