Ha fatto discutere, sui media italiani, l’editoriale uscito sul New Yorker del 5 ottobre scorso col titolo: “Perché in Italia ci sono ancora così tanti monumenti fascisti?”. Meglio sorvolare sulle inesattezze e falsità che contiene, tanto più che l’autrice, Ruth Ben-Ghiat, docente di History and Italian Studies alla New York University, ha nel frattempo cambiato le carte in tavola, dicendo di aver voluto solo “lanciare una provocazione” e “aprire un dibattito”. Le solite espressioni-paracadute che si usano per ovviare a una magra figura. E ha potuto tranquillamente modificare e purgare il proprio testo pubblicato on line. Dal che si deduce che il sito del New Yorker funziona più o meno come quello di un’agenzia di scommesse.
Naturalmente, ben vengano le provocazioni e i dibattiti, anche per noi italiani. Non siamo certo innocenti di ciò che è accaduto e accade nel mondo. Ma, per una volta, chiediamoci cosa Ben-Ghiat proponga, prima ancora che a noi, ai suoi concittadini statunitensi. La sua soluzione ha un nome: “iconoclastia”. Occhio per occhio, dente per dente. Sapere che i nemici giurati dell’ebrea americana Ben-Ghiat, i fondamentalisti islamici che vorrebbero cancellare Israele dalla carta geografica, praticano l’iconoclastia sistematicamente, sbriciolando tutto il patrimonio storico-artistico che capita loro a tiro (per rivenderlo a chi?), fa quantomeno un certo effetto.
Nella versione oggi non più leggibile del suo articolo, Ben-Ghiat si dichiarava favorevole a cancellare e/o occultare le testimonianze del passato sudista degli USA. Già: se il generale Lee era solo un ottuso razzista, cosa importa se i monumenti d’epoca a lui dedicati sono anche opere d’arte e documenti storici di pregio? Cosa importa se davanti ad essi sfilano anche i normali cittadini e non solo gli incappucciati del Ku Klux Klan? Cosa importa se tanta letteratura di quel paese (Poe, Twain, Faulkner, Caldwell, Capote, O’Connor, Tennessee Williams…) è costruita proprio intorno allo spirito del Sud? Come sempre, l’iconoclastia è la scorciatoia propagandistica di chi, non volendo seriamente mettersi in gioco, magari col rischio di dover vedere le cose in modo diverso, se la prende coi simboli di identità e di decoro meglio visibili intorno a sé. Per contraddittori e discutibili che siano.
Sopra: Concezio Petrucci (su progetto di), Duomo di Segezia (FG), particolare del paramento esterno, 1939-40.