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Alle origini del Giuramento degli Orazi

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Critico d'arte tra i più influenti del primo '800 francese, Étienne-Jean Delécluze (1781-1863) era stato in gioventù allievo del pittore Jacques-Louis David (1748-1825), cui dedicò un libro di memorie di grande interesse: Louis David, son école et son temps, pubblicato a Parigi nel 1855. Il libro è da poco uscito in edizione italiana: J.L. Delécluze, Jacques-Louis David, la sua scuola e il suo tempo, a cura di E.M. Davoli e D. Boni, Carlo Saladino Editore, Palermo 2017. Pubblichiamo qui, traendolo dalle pp. 135-36 del volume, un passo in cui Delécluze illustra la genesi del Giuramento degli Orazi, il capolavoro davidiano elaborato tra il 1783 e il 1785, ormai alla vigilia della rivoluzione del 1789. Nella sua ottica classicistica, Delécluze si rivela molto affidabile nel cogliere i segni del mutamento storico, anche quelli meno appariscenti. Con grande precisione, egli rileva un elemento di criticità solo apparentemente marginale rispetto ai grandi fatti della vita sociale dell'epoca in cui David si trovò ad operare: la crisi della committenza, che compie scelte rinunciatarie ed assistenzialiste, disinteressandosi della collocazione delle opere. Le difficoltà e le contraddizioni emerse allora, sono l'eredità con cui l'arte destinata agli spazi pubblici si misura, per vari aspetti, ancor oggi.

Da qualche anno in Francia, nei confronti delle arti, allora molto trascurate dal governo, era stata assunta una decisione le cui conseguenze sono state, sono ancora e indubbiamente saranno a lungo fatali alle arti. Sotto il regno di Luigi XV, Monsieur de Marigny, nominato direttore della manutenzione degli immobili del Re, per risollevare le arti cadute in disgrazia, ebbe l’idea, certo molto generosa, di commissionare ai pittori quadri di soggetto storico e statue di marmo agli scultori. Il prezzo, le dimensioni, il soggetto, tutto fu insomma regolato e indicato, tranne la clausola più importante per l’arte, la destinazione delle opere. Infatti, dopo l’adozione di quella misura, le produzioni degli artisti, cresciute a dismisura, sono diventate molto più di ostacolo che di utilità sia alle arti che alla gloria della nazione; da quel momento i diversi governi che si sono succeduti hanno in qualche modo contratto l’obbligo di mantenere a loro spese una pletora di artisti il cui numero è in continuo aumento a seconda della sconsiderata liberalità dei principi, dei governi o delle grandi amministrazioni.

Comunque sia, quella prassi era in vigore nel 1783, e fu in virtù di quella misura che a David venne commissionato il Giuramento degli Orazi. L’artista ne ideò la composizione a Parigi, poi partì per Roma dove lo eseguì. L’opera ebbe il più grande successo in quella città, e il vecchio Batoni, colmando ancora una volta l’autore di elogi, aggiunse ad essi i più caldi inviti per convincerlo a stabilirsi in Italia. Ma David ritenne di dover resistere a quelle sollecitazioni e fece ritorno a Parigi per esporre il quadro, che suscitò un entusiasmo generale al Salon del Louvre, nell’esposizione del 1785. Il successo ebbe risonanza tanto maggiore in quanto faceva seguito a quello ottenuto solo l’anno precedente dal giovane allievo di David, Drouais, il quale, a diciassette anni, aveva vinto il Grand Prix de Rome, e la cui carriera avrebbe seguito molto da vicino quella del maestro fino al 1788, anno in cui la morte lo rapì.

Se si dovessero spiegare le osservazioni originate dai quadri commissionati, ma privi di destinazione, sebbene ne fosse fissata la misura, il Giuramento degli Orazi ne darebbe ampiamente ragione. Nonostante il successo e la qualità dell’opera, Monsieur d’Angiviller, allora direttore generale degli immobili del Re, credette giusto rimproverare all’autore di aver eseguito il Giuramento degli Orazi in un formato più grande di quello che gli era stato prescritto. La sgradevole discussione, unita alle critiche fatte dal direttore all’opera stessa, infastidì molto David, che peraltro fu ben presto ripagato dagli elogi del pubblico. Ma in tutta franchezza, è proprio necessario essere così rigidi riguardo alla misura di un’opera degna di nota, quando non le è stata in anticipo assegnata una destinazione?

In alto: Jean-Auguste-Dominique Ingres, Ritratto di Etienne-Jean Delécluze (particolare), 1856, matita su carta, mm. 330 x 250, Harvard, Fogg Art Museum. Sotto: Jacques-Louis David, Giuramento degli Orazi, 1783-85, olio su tela, cm. 330 x 425, Paris, Louvre.


 

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