Roberto Brazzale, un importante imprenditore del settore alimentare, ha dichiarato obsoleta la definizione di Made in Italy, proponendone la sostituzione con quella di Prodotto Italiano 〈1〉. La cosa ci piace e il concetto merita di essere ripreso e declinato nel campo di nostra competenza. Il ragionamento svolto da Brazzale, in sintesi, è questo: Made in Italy è un concetto legato agli anni ’50 del secolo scorso, cioè ad una economia protezionistica e nazionale nella quale il “fatto in Italia” implicava automaticamente che in quel prodotto venissero espressi il genio, l’arte e la cultura italiche, conferendogli con ciò stesso una qualità superiore ad uno analogo ma “fatto altrove”. Con la globalizzazione, la delocalizzazione e il conseguente, esasperato “contoterzismo”, il Made in Italy (o in qualunque altro luogo) non implica più necessariamente che il manufatto esprima le abilità e i valori di quella particolare popolazione.
Parlare di Prodotto Italiano significa spostare il discorso sul piano della qualità: la qualità che deriva dall’essere l’oggetto espressione di un’idea, di una filosofia produttiva, a prescindere dal luogo in cui esso viene fisicamente prodotto. Si tratta di un concetto analogo a quello di “tecnologia tedesca”, che attribuisce un’aura qualitativa, per esempio, ad auto prodotte in Turchia o in Messico, ma con marchio e specifiche germaniche. Prodotto Italiano si pone, in altre parole, come un marchio di qualità che dovrebbe implicare il rispetto di regole, disciplinari, standard produttivi e qualitativi precisi, a prescindere dalla provenienza delle materie prime e dalla collocazione degli stabilimenti produttivi. Lasciamo a Brazzale l’onere di dimostrare la validità della nuova definizione per il settore agro-alimentare (il lardo di Colonnata si può produrre con grasso proveniente dalla Polonia?) e cerchiamo invece di capire se essa sia utile alla nostra causa.
Il settore produttivo corrispondente alle istanze della decorazione è quello della Manifattura Artistica. “Manifattura Artistica” è definizione da noi introdotta allo scopo di superare la frammentazione terminologica che, nel settore artistico, ha fin qui tenuto distinti gli uni dagli altri designer, artisti, artigiani ed altre figure confinanti. La caratteristica unificante di tale settore produttivo consiste nel fatto che, a prescindere dalle qualità costruttive o funzionali dei manufatti prodotti, chi sbaglia la forma di tali manufatti non vende un pezzo e, prima o poi, finisce col dover chiudere bottega. Quello della Forma è, dunque, il vero problema di tale comparto produttivo. E sappiamo bene che, se si parla di Forma, allora si deve necessariamente parlare di Arte 〈2〉. Di qui, appunto, la definizione generale di “Manifattura Artistica”, senza porre alcun discrimine fra prodotto unico e prodotto seriale, o tra ciò che è fatto “a mano” e ciò che è fatto “a macchina”. Stando così le cose, la definizione Prodotto Italiano è sicuramente più pertinente di Made in Italy, e lo è a maggior ragione perché sullo scenario dell’Italia di oggi assistiamo a fenomeni molto diversificati e contrastanti: da un lato, infatti, numerosi lavoratori stranieri svolgono, con abilità e intraprendenza, la propria attività nel settore artistico; dall’altro, molte imprese artistiche italiane inseguono, per necessità o per inerzia, mode esterofile. Insomma è ormai evidente che il Made in Italy, inteso come nozione meramente territoriale, si è progressivamente svuotato di reale significato.
Il concetto di Prodotto Italiano implica, come già dicevamo, lo spostamento dell’attenzione da un piano prevalentemente materiale – cioè luoghi, tecnologie, maestranze – ad uno ideale, e cioè rispondenza a canoni, disciplinari, protocolli. Qui si apre la vera questione di fondo: se per un formaggio, come per esempio il Parmigiano-Reggiano, è facile definire standard qualitativi e, quindi, fissare disciplinari produttivi, che ne certifichino la patente di Prodotto Italiano, in che modo si può fare altrettanto per la Forma di un mobile o di una lampada? A onor del vero, il dibattito teorico sulla Forma, come premessa alla formulazione dei successivi protocolli estetici destinati alla produzione di manufatti, è sempre stato l’atto fondativo di ogni corrente o movimento culturale ed artistico in Europa, dalla caduta dell’impero romano in poi. Semmai, la vera anomalia dell’attuale periodo storico non è nel fatto che la questione venga posta ma, al contrario, nel fatto che si continui a procrastinarla ed eluderla.
A fronte di una evidente obsolescenza delle culture artistiche ereditate dal secolo scorso, che in molti casi produce veri e propri fallimenti estetici, anziché prendere il toro per le corna ponendo la questione della Forma, come normalmente si sarebbe fatto in passato, ci si attarda in sterili dibattiti sulla Materia, indicando i nuovi materiali e/o tecnologie come elementi risolutori. Evitiamo di soffermarci sulle cause di tutto ciò (detriti ideologici di varia natura? Materialismo? Veteroidealismo?) perché ci intressa ribadire quello che, a nostro avviso, è il punto qualificante: o si apre oggi, finalmente, un dibattito sulla Forma, oppure non si esce dal cul-de-sac del “contemporaneismo” dilagante. E allora, come impostare tale dibattito e su quali binari farlo poi proseguire? Proviamo a dare alcune indicazioni di massima.
Obsoleta, quindi tendenzialmente fallimentare, è la cultura artistica dell’informe e del deforme ereditata dalla tarda modernità. La forma casuale, arbitraria, occasionale, estemporanea sul piano deontologico, è da tempo orfana dalle filosofie che la giustificavano: sul piano estetico è venuta a noia perché nel loro insieme le sue proposte ricordano il chiacchiericcio di fondo della sala d’attesa di una stazione, e sul piano commerciale non rappresenta un vantaggio competitivo per i distretti produttivi italiani. D’altronde, quella che viene normalmente indicata come virtù generatrice di tali esternazioni formali, la “creatività”, è equamente distribuita in tutto il genere umano, e perciò stesso, se gli abitanti dell’Italia sono alcune decine di milioni contro il miliardo e mezzo della sola Cina, da questo punto di vista la partita è già persa in partenza. Il dibattito intorno alla Forma non può che ripartire da una nuova Etica della Forma. Ciò implica che il ragionamento venga ricondotto ai tre parametri originari che, in tutta la nostra storia culturale e civile, lo hanno sempre caratterizzato e cioè: opportunità, necessità, giustezza.
In primo luogo, la Forma deve essere opportuna: il che significa adeguata al ruolo del manufatto, al suo status, alle aspettative di decoro dei committenti/fruitori, alla funzione civile che svolge.
In secondo luogo, la Forma dev’essere necessaria, in sé e per sé e rispetto ai tempi e ai luoghi: dev’essere cioè perfetta rispetto alla poiesis – cosicché nulla possa essere aggiunto o tolto rispetto all’idea che l’ha generata – e deve “incarnare il proprio tempo”. È chiaro che questa è la parte più complessa della questione, perché riguarda le intime dinamiche della creazione artistica, ma il mondo dell’arte è ampiamente attrezzato per affrontare questi temi, purché riesca a liberarsi delle scorie che gli si sono incrostate addosso nei decenni che sono alle nostre spalle.
Infine, la Forma dev’essere giusta: sia in vista della produzione del manufatto, sia in vista del suo uso. Qui il discorso è più facile di quanto non si creda, perché accoglie tutte la ricerche e gli studi che il secolo XX, il secolo del Razionalismo e del Funzionalismo, ha messo in campo. L’errore non fu infatti nell’indagine sui casi particolari, ma nel promuoverli a modello universale.
〈1〉 Per le dichiarazioni di Brazzale si veda ai seguenti link: www.youtube.com/watch?v=V6EtXijVgJo www.ecovicentino.it/in-evidenza/made-italy-non-esiste-la-provocazione-della-brazzale-spa-tuttofood-milano/www.informacibo.it/it-ww/il-provocatorio-convegno-del-gruppo-brazzale-made-in-italy-non-esiste.aspx 〈2〉 Abbiamo più volte evidenziato che, se la forma dipendesse solo dalla funzione, una volta trovata la forma più funzionale per un dato manufatto, per esempio una ciotola, in breve tempo tutte le fabbriche dovrebbero produrre lo stesso modello, ma così non è. La forma "funzionale" è sempre e comunque un aspetto accessorio del problema dell'invenzione della Forma finale del manufatto, che è questione prettamente "artistica". Sotto: Manifattura Fatteri, Tappeto tradizionale sardo "Pistoccu", in produzione, cm. 150 x 200 (www.fatteri.it).