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Immobilismo e immobiliarismo

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È oggi molto vivo il dibattito intorno agli usi aggiuntivi, diversi dalla normale accessibilità, del patrimonio storico-artistico. Musei e palazzi storici dati in affitto per eventi mondani; suolo pubblico chiuso al viavai quotidiano per svolgervi iniziative ad ingresso limitato; allontanamento di prestigiose istituzioni dalle sedi originarie per fare posto a spazi commerciali, messi a bando secondo il criterio della migliore offerta. Queste sono alcune delle modalità, ventilate o già in essere, di cui si parla. A supporto di ciò, vi è chi sostiene che opere d’arte e monumenti hanno alti costi di gestione e, per il bene della comunità, devono diventare fonte di reddito, aprendosi a forme di sfruttamento privatistico. Vi è invece chi ribatte che tale redditività è illusoria, che ogni centro storico vanta un tessuto imprenditoriale e sociale che è in sé una ricchezza da tutelare, e che la vera priorità dovrebbe andare alla cittadinanza che frequenta, vive e fa vivere un luogo.

Per quanto ci riguarda, aderiamo a questa seconda impostazione, e tanto più in quanto essa rispecchia la Costituzione, materiale prima ancora che formale, di un paese civile. Costituzione che prevede l’inalienabilità assoluta, coi diritti e i doveri che ne derivano per ciascuno, di taluni beni di alto valore culturale e simbolico, da considerarsi essenziali quanto l’acqua potabile o le cure mediche. I fautori di una visione immobiliarista del patrimonio storico-artistico (perché di questo si tratta in fondo: costruire, vendere, affittare), a questo non pensano. Essi amano presentarsi come i nemici dell’immobilismo pubblico. Ma con ciò sposano l’idea, assolutamente immobilista e preconcetta, che solo ciò che è già prezioso e “storico” in sé, meriti sostegno e valorizzazione. Quando invece è proprio il patrimonio che essi creano ex novo, spesso facendosi bastare il minimo o ancor meno, che avrebbe bisogno di un surplus di investimenti capaci di tradursi in decoro durevole, in vivibilità quotidiana.

In alto: Joze Plecnik, Biblioteca Nazionale Universitaria (particolare dello zoccolo a bugnato rustico), 1936-41, Lubiana.
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