Con questo titolo straordinariamente poetico, Mar largo, è noto nel mondo il pavimento della piazza più importante di Lisbona, il Rossio: quasi novemila metri quadri lastricati nel 1848, sotto la guida di Eusebio Furtado, pioniere della moderna calçada portuguesa, come si legge nell’articolo di Rosemary Rodrigues pubblicato in questo numero di FD. Tuttavia, la fortuna di questo pattern semplice ma efficace, così congeniale ad un popolo di navigatori transoceanici quali i portoghesi, è stata tale che col termine Mar largo si indica oggi qualunque calçada in cui compaia quel disegno a onde bianche e nere. E poco importa che si tratti appunto del Rossio, o dell’ancor più celebre passeggiata di Copacabana a Rio de Janeiro, o del Largo do Senado di Macao, e di tanti altri spazi pubblici in Portogallo e nelle sue ex-colonie sudamericane, africane ed asiatiche, nonché in Spagna, dove le pavimentazioni a calçada trovarono accoglienza a fine secolo XIX.
Poiché del motivo in sé è praticamente impossibile percorrere a ritroso la storia fino alle origini remote, diventa ovvio e legittimo, per ogni paese, rivendicare un proprio inizio, un proprio Mar largo di riferimento. Ed ecco ad esempio che in Brasile, ex-colonia portoghese enormemente più grande della madrepatria, il Mar largo per antonomasia si rintraccia a grande distanza dall’oceano Atlantico (ma tra le braccia dei grandi fiumi che formano il bacino amazzonico) nella pavimentazione della piazza São Sebastião inaugurata a Manaus nel 1901, in pieno boom economico legato al ciclo del caucciù.
Che cos’è, tecnicamente parlando, il motivo denominato Mar largo? Esso è parente stretto dei motivi a zig-zag, singoli o in serie prolungate e sovrapposte, con cui, sin dall’età preistorica, si sono decorate terraglie ed altri strumenti, oltre naturalmente al corpo umano, sotto forma di tatuaggi e pitture. Ed è probabilmente altrettanto antico di quelli, anche se emerge in modo più sporadico e si presta molto meno ad essere ripetuto in maniera esatta, modulare. Ma passando dagli oggetti di piccole dimensioni alle grandi superfici orizzontali di piazze e strade, esso acquista una maestosità, un carattere avvolgente, che lo rendono davvero unico. Dove il pattern a zig-zag spezza la linea, quello a onde la incurva; il primo può essere più o meno acuminato, il secondo presenta avvallamenti più o meno ampi. La parentela tra i due pattern è molto stretta anche nella storia della calçada portuguesa, fin dai suoi primordi. Nel 1842 infatti, all’inizio della sua avventura nel campo della calçada, Eusebio Furtado ordinò ai prigionieri che lavoravano ai suoi ordini di pavimentare i terrapieni della rocca di São Jorge con un motivo a zig-zag; qualche anno dopo, di fronte al grande spazio civico del Rossio, optò per il motivo a onde.
Vi sono Mar largo anonimi (anche il capostipite giunto fino a noi, quello del Rossio, sostanzialmente lo è, perché Furtado si appoggiava molto saggiamente ai pattern desunti dalla tradizione della Lusitania romana, dandone un’interpretazione “media”, assolutamente classica e composta) e vi sono Mar largo, per così dire, “d’autore”, come quello disegnato nel 1970 dall’architetto-paesaggista brasiliano Roberto Burle-Marx (1909-94) per il lungomare di Copacabana, concedendosi delle sinuosità più pronunciate e tropicali, probabilmente ispirate non agli esempi portoghesi ma al modello indigeno di Manaus. Ma di fronte ai grandi temi della decorazione, anche l’autore ha ben poco di cui vantarsi, se per autore s’intende, volgarmente, il responsabile di un’idea e di una forma “nuove”, attribuibili a lui e a lui solo. In decorazione, e tanto più nella decorazione destinata ai luoghi della convivenza civile, per autore si deve intendere piuttosto l’interprete di un testo già scritto, da eseguirsi in modo più solenne o più spigliato, più ritmato o più languido, e i cui valori melodici ed armonici fondamentali possono essere, entro certi limiti, trasfigurati, mai ignorati.
Che Mar largo sia, in fondo, un grande spartito, un brano musicale no copyright che tutti hanno la possibilità di reinterpretare e suonare (naturalmente a proprio rischio e pericolo, come quando ci si misura con gli evergreen, sapendone appena fischiettare un ritornello), lo testimonia anche la sua fortuna nel campo della pittura tout court e segnatamente dell’arte optical. A nessuno verrebbe in mente di chiamare Mar largo un dipinto a onde bianche e nere di Bridget Riley, tali sono gli effetti distorsivi, ubriacanti, che la pittrice inglese nata nel 1931 ha impresso alle proprie tele. Ma un ricordo di quella lunga traversata, di quel mare sempre in movimento, vi si coglie ancora.
In alto: Praça do Rossio, Lisbona. Sotto: Bridget Riley, Fall, 1963, Londra, Tate Modern.