Come sottolinea Marco Lazzarato in questo numero di FD, la grande arte della decorazione ad intreccio è oggi qualcosa di simile ad un antico strumento musicale, che nessuno sa più suonare. Venute meno le competenze necessarie a progettare quelle strutture, si è eclissata anche la capacità di goderne intellettualmente. Ironia della sorte, se c’è un fatto storico che smentisce il luogo comune del Medioevo come età “buia”, è proprio l’intreccio miniato: un labirinto esplorabile solo disponendo di una luce vivida, che mostri la giusta direzione in un viluppo apparentemente inestricabile. Tuttavia, anche solo a considerarne le strutture elementari, lontanissime dai capolavori tardoantichi e medievali, le virtù dell’intreccio risultano essere tra le più tenaci che la cultura umana abbia coltivato fino ad oggi.
Più della lavorazione della terracotta o dei metalli, che comporta processi fisico-chimici complessi, il mestiere dell’intreccio resta in molti casi – si pensi alla fabbricazione di stuoie, all’impagliatura di sedie, perfino alle acconciature dei capelli – quasi immutato rispetto ai primordi, e chiunque può avventurarvisi. È sufficiente che in una texture bidimensionale emerga una pulsazione, una dialettica fra le particelle che la compongono, perché le movenze dell’intreccio si attivino nella coscienza dell’osservatore. Una spiegazione del fenomeno è certamente nel fatto che, in migliaia di anni di esercizio quotidiano, dall’abbigliamento agli utensili agli arredi domestici, gli schemi dell’intreccio sono stati profondamente introiettati dal genere umano. Così profondamente da essere sempre pronti ad emergere non appena una sovrapposizione di linee o un’alternanza luce-ombra lo consentano.
Tuttavia, come insegna la psicologia della percezione, il rapporto tra osservatore ed immagine presuppone una sintesi dinamica di “sapere” e di “vedere”. Questo “sapere-vedere” produce scelte, individua e nomina le cose. Immagini e parti di immagini non si presentano isolate, ma si aggregano e si contestualizzano, dandosi nella forma che l’osservatore trova più economica e versatile 〈1〉. Fra le tante esemplificazioni sperimentali di questa attitudine, vi è l’immagine notissima del triangolo di Kanizsa, dove a rigori il triangolo (o meglio, il doppio triangolo) non esiste, perché è l’alternanza bianco-nero a suggerirlo, inducendo l’osservatore a completare le parti mancanti 〈2〉. Proprio come per il triangolo di Kanizsa e altri giochi di scambio figura-sfondo, si può affermare che, in molti pattern basati sulla tassellazione regolare del piano, anche l’intreccio giochi un ruolo intermittente: invisibile sotto una data ottica, visibile quando la messa a fuoco cambia.
Si consideri la più semplice fra tutte le tassellazioni del piano: la scacchiera. Si immagini che i quadrati siano formati da fettucce bianche e nere accavallate perpendicolarmente, e si penserà a delle strisce di pelle intrecciate, come nelle cinture o nelle borse. Ancora, basta un’ombreggiatura a far sembrare i quadrati alternativamente aggettanti o rientranti, come avviene nell’intreccio reale per effetto dell’accavallamento tra una striscia e l’altra. Se poi le file di quadrati vengono sfalsate in modo che la separazione tra un quadrato e l’altro poggi esattamente a metà del quadrato sottostante, si avrà l’effetto tipico dell’intreccio in vimini, dove una serie di fibre parallele, disposte a formare un involucro continuo, passa sopra e sotto altre fibre disposte perpendicolarmente, ma a intervalli regolari. Naturalmente, questo effetto risulta più convincente e dinamico se, anziché quadrati, ad alternarsi nello stesso modo si hanno rettangoli, come i mattoni in un paramento murario. Questo tipo di soluzioni è talvolta presente nei mosaici da rivestimento, dove le singole tessere rettangolari sono leggermente convesse, evocando l’archetipo dell’intreccio in giunchi o in vimini.
Ad un livello compositivo appena più complesso si hanno i motivi architettonici e tessili detti “a lisca di pesce” o, con una definizione francese altrettanto metaforica, pied-de-poule. Anche qui, e gli esempi potrebbero continuare a lungo salendo nella scala della complessità, intreccio simulato e intreccio reale convivono paritariamente. Insomma, le dinamiche dell’intreccio sono tra le più universali nel sapere visivo antico e moderno. Il loro riproporsi, anche nei contesti produttivi tecnologicamente più evoluti, lascia pensare che esse continueranno a svolgere un ruolo vitale nel nostro immaginario. Ma la grande avventura tardoantica e medievale, che ha fatto della tecnica dell’intreccio un’arte raffinatissima, resta un capitolo irripetibile nella storia della cultura umana.
〈1〉 Cfr. R. Arnheim, Arte e percezione visiva, Feltrinelli, Milano 2008 (ed. or. 1954). 〈2〉 Vedi G. Kanizsa, Grammatica del vedere. Saggi su percezione e gestalt, Il Mulino, Bologna 1997. In alto: motivo a intreccio per pavimentazione in travertino. Sotto: due pattern tessili.