L’astrazione geometrica di Piet Mondrian ha fortemente caratterizzato il secolo scorso, arrivando a fornire gli stilemi perfino ad una decorazione domestica costituita di suppellettili e beni di consumo. Tuttavia, la sua popolarità e il suo successo non dipendono solo dalle forme e dai colori in sé e per sé, ma sono riconducibili a una dimensione più implicita, che va oltre la semplice stimolazione sensoriale. Il ben noto interesse, da parte del maestro olandese, per il movimento teosofico assai in voga negli anni della sua formazione, a cavallo tra i secoli XIX e XX, ci induce a pensare che l’attrazione esercitata dalle sue opere, seppur apparentemente elementari nella composizione, non sia tanto di natura gestaltica ma nasconda, appunto, una radice esoterica.
In questa rivista ci proponiamo di trattare della decorazione basandoci su dati il più possibile concreti, pur essendo coscienti del fatto che, in ambito artistico, questo attributo è quanto mai aleatorio. Tale scelta è di natura deontologica in quanto FD è rivista scientifica, espressione cioè di un centro di ricerca accademico. Dev’essere chiaro però che questo limite metodologico non implica da parte nostra la coscienza che tutto lo scibile della disciplina possa essere indagato in tal modo.
Al di là di questo, infatti, vi è l’universo dei significati e dei simboli che nella decorazione assumono spesso valenze mistiche, non indagabili con gli strumenti fenomenologici in nostro possesso. Inoltre, vi è la consapevolezza che l’uso – spesso trasformatosi in abuso – dei segni della decorazione come simboli, sedimentandosi nei millenni ha compromesso la nostra reale capacità di comprensione. Ed è proprio riguardo a questo aspetto che la teosofia, come molti altri cenacoli esoterici coevi, è responsabile di molte falsificazioni ed errate interpretazioni. In altre parole, scontiamo oggi il fatto che, in quanto uomini moderni, ci è totalmente impossibile capire significato e funzione di segni usati come simboli, dalle valenze spesso magiche e religiose, nelle culture arcaiche. Ciononostante, questo universo va esplorato: per onestà intellettuale non possiamo fingere di ignorarne l’esistenza.
Da parte nostra ci siamo dotati, come strumento per supportare questa esplorazione, di un concetto-chiave: il “dato naturale ineludibile”. Riteniamo cioè che, al di là dei significati (spesso inquinati da secolari fraintendimenti) che come uomini moderni possiamo riconoscere nella simbologia antica, per tentarne un’analisi dobbiamo il più possibile immedesimarci nelle condizioni ambientali e fisiche dei suoi artefici. Si tratta di una questione delicata, nella quale spesso inciampano i moderni studiosi che, per esempio, usano il metro per misurare antichi edifici progettati con il sistema modulare, deducendone poi significati numerologici a prescindere dal fatto che se con il sistema metrico decimale si ottiene un numero, con i piedi o i cubiti (le reali unità di misura impiegate all’epoca) se ne ottengono altri, completamente diversi. La suggestione esoterica, quindi, è uno dei fantasmi che un serio ricercatore deve evitare, proprio per accedere al “linguaggio segreto” della decorazione. Linguaggio che indubbiamente esiste, ma su tutt’altro livello di segretezza.
Nostra intenzione è fornire alcuni rudimenti di base a chi abbia volontà e strumenti per approfondire in seguito il tema. La parola-chiave da cui partire è simbolo, ossia il sostantivo maschile derivante dal latino symbŏlus, a sua volta derivante dal greco σύμβολον, che sta per «accostamento», «segno di riconoscimento», «simbolo», la cui radice è nel verbo composto συμβάλλω, «mettere insieme, far coincidere», ottenuto unendo la preposizione σύν («insieme») a βάλλω («gettare»). In arte, l’operazione simbolica si esplica in genere tramite l’abbinamento di una determinata immagine/forma, ad un’idea/contenuto a prima vista (cioè secondo i dettami di un concezione naturalistico-mimetica, basata sulla somiglianza esteriore) non collegabile ad essa. Simboli, nella decorazione, ve ne sono moltissimi, e più o meno noti al grande pubblico. Se dovessimo stabilire una gerarchia interna, che li classificasse per universalità e diffusione, ci accorgeremmo che quelli di derivazione zoo/fitomorfa hanno un carattere tendenzialmente locale, circoscritto.
Ad esempio: il drago, o il serpente, o il coccodrillo, esprimono la stessa idea di “guardiano della soglia”, collegata però ai diversi animali o alle loro reinvenzioni fantastiche (quali appunto il drago), che i vari popoli avevano sotto gli occhi. Anche le simbologie floreali (si pensi alla rosa bianca o al fiore di loto) seguono una dinamica analoga: il concetto è il medesimo, ma viene di volta in volta espresso con elementi naturali geograficamente pertinenti. Risulta quindi difficile seguire il filo di queste simbologie dal punto di vista della decorazione, perché la loro chiave interpretativa si trova nei concetti basilari delle varie culture esoteriche tradizionali, che esulano però dal nostro campo di ricerca.
Diverso è invece il discorso sulle simbologie geometriche: un cerchio, come pure un triangolo o le stelle poligonali, sono tali, per così dire, “sotto ogni cielo”. Se questo è vero, allora quale fra questi simboli è nato prima? Come si è svolta la loro genesi? La scoperta della geometria implica un alto grado di astrazione, quindi di evoluzione da parte di una cultura, ma da quale dato naturale ineludibile scaturisce tale scoperta? La cultura umana ha come laboratorio primario, da cui estrapolare tutti i successivi gradi di elaborazione concettuale, l’osservazione e lo studio dell’ambiente circostante. Ebbene, tale ambiente è dominato da configurazioni che tendono alla circolarità. A partire dal disco solare, gran parte delle forme che si possono osservare in natura, tendono al cerchio o sono ad esso riconducibili. Ad esempio le corolle dei fiori, che pur nella grande varietà di specie hanno la circonferenza come limite geometrico comune.
In tema di figure geometriche, il cerchio è la prima astrazione concettuale, intuitiva, che si affaccia alla mente umana. Tale astrazione diviene atto geometrico vero e proprio, nel momento in cui sorge l’esigenza di costruire la casa, intesa come struttura artificiale, radicalmente diversa e distinta dal riparo naturale offerto dalle rocce o da altre sistemazioni di fortuna. Circolare è il focolare, e circolari sono tutte le prime abitazioni umane costruite attorno ad esso, perché, dato uno sterminato spazio aperto, l’atto più semplice ed intuitivo consistette nello stabilire un punto centrale sul terreno, dimensionando intorno ad esso, con un’operazione di tracciamento facilmente effettuabile con un palo ed una corda tesa, la linea perimetrale su cui posare pietre o piantare pali. Non vi è dubbio che il focolare centrale, la tenda e i rami che “celano” l’esterno, il foro superiore da cui entra la luce ed esce il fumo, sono tutti elementi archetipici che la simbologia architettonica, a partire dal paleolitico, si è portata fino alla rivoluzione industriale, epoca in cui sono poi subentrate altre simbologie. Il cerchio quindi è il primo simbolo, non tanto, come spesso si afferma, solare, quanto invece cosmogonico. La costruzione della casa attorno al focolare è, in sostanza, mimesi della creazione dell’universo attorno alla divinità; divinità che può sì identificarsi col sole, ma non si riduce solo ed esclusivamente ad esso.
Da questa prima astrazione geometrico-concettuale ne deriva subito un’altra. Il gioco dei raggi che generano la circonferenza porta infatti all’identificazione dei due diametri assiali, verticale ed orizzontale, e della figura geometrica che ne consegue: il quadrato. In natura il quadrato non è esperibile, ad eccezione che in rare cristallizzazioni geologiche, per cui la sua scoperta richiede un grado di astrazione ulteriore e meno intuitiva, rispetto al cerchio. Una volta riconosciuta, però, la simbologia appare chiara: il quaternario richiama le contrapposizioni fisiche elementari tra acqua, aria, terra e fuoco, e la sua iscrizione nel cerchio suggerisce inoltre l’idea della ciclicità stagionale. Anche in questo caso non ci soffermiamo sulle varie simbologie derivate (ruota, croce greca, svastica, eccetera), comunque ben note al pubblico. Il cerchio e il quadrato in esso iscritto sono quindi i primi simboli che potremmo definire “di terra”, perché derivanti da azioni fisiche condotte sul terreno. Le geometrie successive, invece, per quanto semplici agli occhi di noi moderni, non sono altrettanto intuitive.
Il triangolo equilatero, ad esempio, non è per nulla deducibile da esperienze dirette sul terreno, così come non lo sono gli altri poligoni regolari quali il pentagono, l’esagono, eccetera. Per esperire queste geometrie bisogna volgere gli occhi al cielo. Se il cerchio è simbolo dell’universo, l’osservazione del circolare cielo notturno porta a scoprire movimenti astrali che possono essere descritti solo con geometrie complesse. Triangoli, esagoni, ottagoni, ennagoni sono tutte figure che nascono dalla capacità di osservare il cielo stellato e descriverlo con sofisticati strumenti, che sono sia di natura tecnica – si passa cioè dallo spago al compasso – sia di natura culturale. In altri termini, si abbandona l’empirismo dei primi geometri per acquisire la scienza geometrica dei primi astronomi.
Se la circonferenza rimane quindi il simbolo originario, avviene però, subito dopo, che dal suo grembo si generino due grandi famiglie di simboli geometrici: quelle sviluppate sul quadrato e quelle sviluppate sul triangolo equilatero, a cui vanno assimilate anche quelle legate a poligoni complessi quali il pentagono e l’ettagono. Questo codice genetico simbolico rimane in atto in tutte le successive geometrie. È da osservare, peraltro, che le decorazioni su base triangolare si sono sviluppate solo in civiltà molto evolute, in possesso di una raffinata cultura astronomica. Ed è a maggior ragione da sottolineare il fatto che nella cultura occidentale – naturalista prima, materialista poi – il triangolo sia pressoché scomparso dal dominio della decorazione, la quale si è sviluppata essenzialmente su base quadrata. Viceversa, nella vicina cultura islamica, il triangolo è divenuto il punto di partenza per sofisticatissime costruzioni stellari, nelle quali solo molto raramente è presente il quadrato.
In questo senso, Mondrian e tutta la situazione cubofuturista prima, neoplasticista poi, rappresentano il punto d’arrivo di una concezione che è assolutamente tipica dell’Occidente moderno e contemporaneo. In questa sede non ci è possibile andare oltre quanto detto fin qui; ma mettere un minimo di ordine in alcuni concetti basilari ci sembrava doveroso.
In alto: artisti al ristorante "Au Neuvième Art" a Parigi, fotografati nel 1926 da André Kertesz (Mondrian è in primo piano al centro). Sotto: Leon Battista Alberti, Facciata e schema compositivo della chiesa di Santa Maria Novella, 1458-78, Firenze.