Il mestiere del decoratore e quello del pittore da cavalletto comportano tecniche apparentemente identiche ma spesso, alla prova dei fatti, diametralmente opposte. Al cavalletto, il disegno è quasi sempre ridotto in scala e realizzato a mo’ di schizzo modificabile in corso d’opera; in decorazione tutto dev’essere concepito in scala 1:1, e la fase progettuale su scala ridotta serve a stabilire e verificare la funzionalità strutturale ed estetica del prodotto finale.
Per il pittore-pittore come per il pittore-decoratore, la fase di stesura procede dai piani più arretrati verso quelli più prossimi all’osservatore, giustapponendo in maniera corretta luci ed ombre (ovvero il chiaroscuro) per dare forma agli oggetti rappresentati. Ma mentre il primo dei due, potendo permettersi personali licenze interpretative e giocare con i contrasti cromatici, ha la libertà di stemperare via via sulla tavolozza un’ampia gamma di tonalità, il secondo, condizionato com’è dai vincoli dell’illusorietà e dai metri quadrati giornalieri da realizzare, deve operare secondo una tecnica che, come in tutte le pratiche artigianali, omologa e organizza il lavoro in base a schemi ben precisi.
In una struttura architettonica dipinta, il disegno – inteso come progetto – è di fatto l’ossatura portante dell’intero lavoro, e la tracciatura su muro, che anticamente veniva eseguita “a giornata” su porzioni di intonaco fresco, ne è la forma definitiva. Il pittore-decoratore traduce il segno grafico, che descrive concettualmente l’oggetto e la sua posizione nello spazio, in rappresentazione illusoria, avvalendosi di un sistema chiaroscurale codificato. In questo senso, determinare l’intensità della luce e la direzione da cui essa proviene è il primo, fondamentale passo da compiere per disciplinare gli elementi della decorazione e il modo in cui essi vengono percepiti dall’osservatore.
Nella realtà, le condizioni di luce sono estremamente mutevoli: sui prospetti degli edifici esse risentono dell’ora, dalla stagione e delle condizioni metereologiche; negli interni, a queste variabili subentrano l’illuminazione artificiale e le caratteristiche dimensionali e di posizione delle aperture verso l’esterno.
Per rendere efficacemente l’illusione di trovarsi di fronte a veri elementi architettonici in stucco o pietra, occorre conformarsi ad una fonte di luce ipotetica, convenzionale, che possa essere presa per buona in qualsiasi situazione. In particolare, le condizioni di luce diffusa, in una giornata di sole velato e di mezza stagione, rappresentano la soluzione ideale per riuscire ad ottenere ombre né troppo forti (come in pieno sole) né troppo deboli (come avviene in condizioni di cielo coperto), né troppo grandi (come in estate) né troppo piccole (come in inverno).
La distinzione tra ombre proprie ed ombre portate è un altro elemento importantissimo. Le prime nascono sull’oggetto quando questo non è direttamente investito dalla luce e a loro volta, insieme alle lumeggiature (cioè i toni chiari delle parti in luce), determinano la forma dell’oggetto stesso, dando l’illusione della tridimensionalità. Le ombre portate sono quelle che l’oggetto proietta sul piano sottostante e, se dipinte correttamente, ne stabiliscono l’aggetto e le dimensioni illusorie. In realtà, anche le ombre portate sono soggette alle varie posizioni che il sole assume nel suo transito, ed è per questo che nelle facciate dipinte si adotta generalmente l’inclinazione standard di 45°.
Una volta tracciati gli ingombri (cioè i contorni) esterni degli elementi decorativi (quadrature, cornici ed ornati) si procede alla stesura dei colori di fondo. Negli edifici più antichi è d’obbligo ripristinare le tonalità originali, e l’artista deve avere particolare sensibilità e cultura cromatica per individuare, tra ciò che il mercato offre, i colori più opportuni, eventualmente modificandoli e correggendoli. Nel caso di decorazioni ex novo, o comunque laddove non vigano particolari vincoli conservativi, l’operatore dovrà a maggior ragione scegliere le tonalità in base a precisi criteri di dominanza e intensità cromatica, per ottenere un insieme armonioso.
In Liguria e nel basso Piemonte, gli elementi aggettanti sono per tradizione del color di stucco, ovvero un bianco avorio più o meno tendente al giallo ocra, mentre il colore del muro di fondo svaria dal rosso ossido, al rosa, a tutta la gamma delle terre rosse e gialle, fino a quelle verdi. Più rari i fondi grigi o azzurri. Nei casi di partiture più complesse, i colori posso essere più di due e il color di stucco può variare fino a caratterizzarsi come una finta – o, negli interni, vera – doratura.
Una volta stesi i fondi, con le lenze e gli spolveri si provvede a tracciare le modanature e i dettagli interni. Da questo momento in poi si dovranno “far uscire” i finti stucchi dalla parete: il tutto attraverso una tecnica semplice e ripetitiva, estremamente codificata, adatta alle esigenze di cantiere (tempi di esecuzione, metrature da ricoprire, più persone al lavoro e quindi “mani” diverse) e, in particolare, alla pianificazione dell’effetto trompe-l’oeil.
Il chiaroscuro viene risolto, salvo rare eccezioni, avvalendosi di quattro tonalità scure e di due chiare. Nel gergo dei decoratori esse prendono il nome, per quanto riguarda le ombre, di primo, secondo, terzo scuro e bus (termine probabilmente derivato dal dialetto piemontese); per quanto riguarda le parti in luce, di lume e relume (detto anche lume bello). Infine, si hanno la prima e la seconda ombra portata. Anche la posa delle varie tonalità sul disegno si dà secondo una sequenza ben precisa: primo scuro – lume – prima ombra portata – secondo scuro – terzo scuro – seconda ombra portata – relume – bus.
Il primo scuro è appena più scuro della tinta di base (per ottenerlo, generalmente si aggiungono terre naturali o bruciate a seconda del tipo di tonalità, calda o fredda) e lo si sfuma nella parte in cui l’ombreggiatura si perde nella tinta di base. Sopra di esso viene posato il secondo scuro, a sua volta sfumato nel precedente, in maniera da rendere il progressivo intensificarsi dell’ombra.
Il terzo scuro viene usato per marcare i “soffitti”, ovvero gli spessori delle parti aggettanti che, nella visione dal basso, vengono percepite in scorcio. Negli apparati decorativi complessi, con forti aggetti ed ornati in altorilievo, questo colore viene usato anche come terza gradazione delle ombre proprie e, analogamente a queste, sfumato.
Le ombre proprie si preparano aggiungendo via via le terre scure in questo modo: a partire dal color di stucco di base si produce una quantità di primo scuro adeguata alla superficie totale da realizzare, una parte di tale quantità viene ulteriormente addizionata di terre scure per ottenere il secondo scuro, e così via, fino a ricavare anche il terzo scuro e il bus.
I due toni di luce, cioè lume e relume, si ottengono addizionando di bianco il color di stucco. Collocati su margini e superfici, essi simulano la luce che investe gli oggetti e sono i più delicati da eseguire: se troppo forti “sparano”, se troppo deboli (visti dalla strada dove normalmente l’osservatore si trova) tendono a scomparire.
Il lume viene posato, come si è detto, subito dopo il primo scuro: in questo modo l’oggetto è già descritto sommariamente con le sue luci ed ombre e questa prima fase già consente di valutare l’efficacia complessiva dell’insieme. Il relume è invece il penultimo colore in ordine di posa, e consiste in piccoli tocchi di pennello dati sul lume, nelle sue parti più aggettanti.
Gli impianti decorativi più elaborati, con elementi posti su più piani, necessitano delle cosiddette “mezzetinte”, ovvero tonalità intermedie scure e chiare, che arricchiscono l’effetto trompe-l’oeil.
Proprio come nella pittura da cavalletto, le ombre portate svolgono una funzione determinante per dare all’osservatore la sensazione di trovarsi di fronte ad oggetti tridimensionali. Anch’esse vengono prodotte aggiungendo al colore di fondo la terra scura più adatta e sono risolte, salvo le eccezioni sopra descritte, con due passaggi: prima ombra (leggermente più scura del fondo) e seconda ombra (scuro deciso e determinante). Entrambe originano dal margine esterno dell’elemento decorativo in maniera netta contornandone il disegno, hanno una inclinazione di 45° e una forma simile all’oggetto che le genera ma in visione scorciata. Sono anch’esse sovrapposte e molto sfumate, la prima nel colore di fondo e la seconda nella prima.
L’ultimo colore, in ordine di stesura, è il bus, uno scuro molto forte che viene utilizzato per delimitare, con una riga molto sottile, lo stacco, che determina spesso una lievissima fessura, tra il finto stucco ed il fondo e, negli ornati, sottolinea grazie a piccoli tocchi di pennello il fondo dei sottosquadra.
Nell’esecuzione di tutte queste operazioni la manualità (ovvero la collaudata e sapiente gestualità della pratica quotidiana), la conoscenza nel dettaglio ed il controllo delle forme che devono uscire dalla bidimensionalità del disegno, fanno la differenza nel risultato finale. Il modellato dello stuccatore deve essere simulato dal pittore, che ha a disposizione una materia prima liquida anziché plastica, tramite un sapiente dosaggio di intensità.
Gli strumenti utilizzati per la posa dei colori sono plafoni e pennellesse per i fondi (rispetto al rullo fanno aderire e penetrare meglio il materiale nell’intonaco), pennelli bolognini (appositi “tirarighe” dalle setole lunghe) e bruschette per sfumare al meglio il chiaroscuro degli ornati (a setole corte, come quelli utilizzati per la pittura ad olio).
Attrezzo semplice ma indispensabile al decoratore murale, è una riga in legno leggero lunga un metro e con un margine tagliato a 45° nello spessore in maniera da limitare l’accumulo di colore. Essa viene utilizzata per tracciare i segmenti paralleli, a tinta piena o sfumati, di cui sono costituiti tutti gli elementi lineari: cornici, lesene, bugnati e loro modanature. Infine, molto utile nell’esecuzione degli ornati è il poggiamano (un bastoncino tondo, meglio se di bambù, con in cima un tampone in stoffa) che permette lo scorrimento ottimale del pennello, la rotazione del polso nelle parti curve, nonché la stabilità e il controllo della mano.
Se attuato con buona manualità pittorica e sensibilità cromatica, questo sistema chiaroscurale, schematico e felicemente collaudato nei secoli, dà risultati che non finiscono mai di sorprendere.
In alto: esercitazioni di pittura murale all'Accademia Ligustica di Genova. Sotto: finestra dipinta secondo i procedimenti tecnici della decorazione illusionistica genovese (foto © Beatrice Giannoni).