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Expo e Antiexpo

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L’Expo che si è appena chiusa a Milano ci ha parlato di un disordine mondiale in cui il senso dell’ordine, bussola della decorazione e dei relativi repertori ornatistici, è una risorsa preziosa. A questa risorsa hanno largamente attinto i paesi fornitori delle materie prime indispensabili a sostenere i nostri livelli di vita. I padiglioni dei grandi produttori di idrocarburi hanno infatti puntato con forza sui motivi desunti dai tappeti, dall’architettura dei centri religiosi e dei palazzi, dalla tradizione calligrafica. E molti altri padiglioni dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina hanno riscoperto e meditato il proprio patrimonio ornatistico, mettendolo alla prova anche sui materiali e le tecnologie di ultima generazione: quegli stessi materiali e tecnologie che tanto debbono alle risorse minerarie presenti nel loro sottosuolo.

Si dirà che tutto ciò è un riflesso condizionato, come spesso succede ai turisti che, lontani da casa, hanno nostalgia degli usi e dei costumi di cui si sentono privati ed amano sbandierarli, salvo dimenticarsene non appena ritornano in patria. Può essere. Ma anche da noi si sono registrate sperimentazioni decorative validissime, come quella per Expo Venice di cui ci parla in questo numero Marco Lazzarato. Oggi più che mai, il senso dell’ordine è un antidoto al fanatismo iconoclasta che distrugge i musei e i siti archeologici dell’antica mezzaluna fertile, per alimentare la rete dei commerci clandestini di opere d’arte. E dove mai finiranno i prodotti e i ricavi di questa lucrosissima Antiexpo aperta 24 ore su 24? Se e quando lo sapremo, dovremo finalmente convincerci che fanatismo, nichilismo e iconoclastia sono tutto fuorché un affare interno al mondo islamico e mediorientale.

In alto: padiglione Ecuador, Expo 2015, Milano.

 

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