«Poesia, come sai, è un qualcosa di complesso; infatti la causa per cui un qualcosa va dal non essere all’essere è sempre poesia, tanto che anche le realizzazioni che provengono da tutte le arti sono esse stesse poesia e i loro artefici sono tutti poeti».
«Dici il vero».
«Tuttavia tu sai che non vengono chiamati poeti, ma hanno altri nomi, e che soltanto una parte circoscritta che deriva dalla poesia circoscritta, quella che riguarda la musica e i versi viene chiamata con il nome dell’intero. Soltanto questa viene chiamata poesia e solo quelli che si occupano di questa parte della poesia vengono chiamati poeti».
(Platone, Simposio, 205c)
Questa rivista tratta dei principi della decorazione, soprattutto in funzione dell’architettura. Risulta perciò interessante presentarvi una sperimentazione volta a declinare quegli stessi principi in un campo nuovo, quello della grafica.
Tutto nasce da un incarico del Ministero per le Politiche Agricole finalizzato alla promozione, nel Padiglione Aquae di Expo Venice, di un ciclo di degustazioni di prodotti della pesca abbinati ai vini di costa. Abbiamo elaborato il relativo progetto in collaborazione con Fabrizio Borin, affermato professionista del settore, titolare del Way Out Studio a Rovigo e responsabile, fra l’altro, del nome dell’evento, Degustamare. Senza entrare nei complessi risvolti organizzativi e comunicativi dell’operazione, illustreremo qui la parte di nostra competenza, cioè la genesi e lo sviluppo del tema grafico. Frutto maturo, questo, di una pluriennale, comune ricerca, che ha visto due figure distinte, un artista specializzato nella decorazione, Marco Lazzarato, e un grafico esperto di comunicazione, Fabrizio Borin, lavorare in sinergia sui temi e gli standard estetici della comunicazione commerciale contemporanea. Questo fatto merita di essere sottolineato perché, al di là dei risultati, è di estremo interesse dal punto di vista deontologico.
Abbiamo più volte cercato di definire l’oggetto delle nostre ricerche, partendo dalla questione fondamentale rappresentata dal problema del decoro. E’ chiaro a tutti che è proprio nel settore della grafica che tale questione diventa vitale, in quanto qualsiasi prodotto destinato a comunicare, se non viene considerato adeguato, cioè decoroso, dagli interlocutori, viene rifiutato. L’opinione corrente in questo settore vuole che, a stabilire cosa sia o non sia decoroso, siano gli specifici gruppi sociali a cui la comunicazione stessa è destinata. Quando però si passa da un volantino che reclamizza la festa in discoteca, ad un marchio per un importante evento istituzionale, la questione del decoro non può più essere affrontata con i consunti parametri della sociologia commerciale o con l’inseguimento delle mode in voga, ma – è questa la nostra tesi – dev’essere ricondotta su un piano ontologico fondante. La forma grafica non deve cioè limitarsi ad assecondare l’emotività di un ristretto ed omogeneo gruppo sociale ma, appunto perché destinata a parlare alla generalità delle persone, in diversi contesti, deve tornare a caricarsi di valore proprio. Insomma, il problema cessa di essere estetico per tornare ad essere etico. In altre parole, la genesi della forma non può avvenire a valle ma a monte dei gusti correnti: deve cioè scaturire in modo originario dalla generale idea del bene che accomuna le persone, confidando che la giusta forma, in quanto buona, venga riconosciuta bella e quindi piaccia, cioè stimoli positivamente le sensazioni degli interlocutori. Fissato questo principio, la questione successiva è quella del coerente sviluppo delle concrete forme necessarie alla comunicazione.
L’intero percorso nasce e si sviluppa, secondo la nostra tesi, nell’ambito della decorazione, cioè di quella che abbiamo già avuto occasione di definire come “arte che sovrintende al decoro dei manufatti”. Abbiamo altresì convenuto che tale funzione, enunciata a livello teorico, si attua sul piano pratico come arte autonoma, solo nel momento in cui l’artista deve confrontarsi coi processi di produzione industriale e, quindi, interfacciarsi con la figura deputata a progettare le azioni necessarie all’avvio delle macchine che produrranno il manufatto: il disegnatore industriale appunto. Se, al contrario, vi è la possibilità di una produzione manuale, diretta, il pittore e lo scultore rimangono le figure deputate ad operare, seppur acquisendo una competenza tecnica di tipo ornatistico. Il decoratore, quindi, si presenta come artista autonomo solo nel momento in cui l’arte (cioè l’invenzione poetica delle forme originarie) che gli compete, si deve confrontare con i processi industriali. In questo senso, non vi è dubbio che la grafica contemporanea sia totalmente dominata da tali processi.
In un simile contesto il grafico, in quanto disegnatore industriale, è figura-chiave del sistema, perché progettista responsabile dei vari processi produttivi, a volte assai complessi. La grafica però, in quanto comunicazione visiva, conserva una forte componente culturale, che richiede per i suoi temi generatori una competenza artistica, cioè la capacità di individuare ed elaborare nuove forme-modello. Nella gran parte dei casi posti dalla grafica contemporanea, le due funzioni coincidono nella stessa persona; tuttavia, nel momento in cui è necessario battere nuove vie o affrontare progetti di alto profilo, la separazione-specializzazione torna ad essere necessaria. Quando si cercano nuovi contenuti, i parametri tipografici, seppur integrati da nozioni gestaltiche o sociologiche, non sono infatti sufficienti a coprire lo scibile della disciplina. In questo senso l’idea-guida del nostro progetto attua un ribaltamento di fronte. Vale a dire che essa non si sviluppa attorno a un paradigma tipografico, cercando poi di sostenersi con qualche stampella sociologica ma, al contrario, “crea”, cioè trae dall’ambito poetico, una iniziale forma archetipica, dalla quale, a cascata, si generano le forme concrete richieste dalla comunicazione visiva, che progressivamente invadono gli spazi e gli oggetti previsti dal progetto.
Se il modello vigente, quello della grafica per così dire “espressiva”, ha come presupposto il foglio bianco nel quale il grafico esprime il proprio segno, da applicare poi negli spazi e sugli oggetti previsti, con l’idea di grafica “progressiva” da noi sperimentata il punto di partenza è la creazione di un’originaria forma-madre, forma archetipica in grado di figliare altre forme, perché provvista di un proprio codice genetico. Alla sterilità del segno “espressivo”, mutuato dal ‘900 e spesso frutto di autismo culturale, si contrappone la fecondità della forma originaria, che è tale perché è tratta poeticamente dal non-essere, al contrario della prima che si esplica direttamente nell’essere, anzi, spesso nel mero esistere, del suo autore. Sul piano pratico, se la forma grafica “espressiva” invade lo spazio (immagine coordinata, automezzi, stand, ecc.) in modo arbitrario, scontando sempre il peccato originale del manifesto incollato sul muro, all’opposto la forma grafica “progressiva” si moltiplica, vivificando e fecondando gli spazi e gli oggetti a lei destinati, e creando in tal modo un rapporto armonico con essi. La forma archetipica diventa marchio e dal marchio si generano i motivi che vanno a colonizzare gli spazi vuoti della comunicazione visiva, in una progressione organica, quasi biologica, che prevede costanti mutazioni degli individui pur nella familiarità della specie.
In alto: Marco Lazzarato, Degustamare, sviluppo del motivo a correre. Sotto: Marco Lazzarato, Degustamare, evoluzione del modulo-base. © Marco Lazzarato 2015.