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Intervista a Beatrice Giannoni

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Beatrice Giannoni è decoratrice e ceramista, con una vasta esperienza di tecniche pittoriche, grafiche e plastiche. Da un triennio è docente di Decorazione e Disegno per la Decorazione presso l'Accademia Ligustica di Genova. Il suo impegno artistico e didattico si è andato concretizzando nello studio e nella riproposizione della tradizione locale nel campo della decorazione murale con motivi architettonici, che da secoli abbellisce gli edifici del capoluogo e di tanti altri centri storici liguri. Una tradizione particolarmente rinomata nei palazzi dell'aristocrazia mercantile, ma che nel suo divenire storico ha dato luogo ad una vasta gamma di soluzioni adatte a tutti i contesti urbanistici, sociali ed economici, a partire dall'età rinascimentale fino all'edilizia residenziale e agli esercizi commerciali della prima metà del '900. I positivi riscontri del lavoro svolto fin qui sono un motivo in più per rievocare insieme a Beatrice Giannoni il suo percorso professionale. La posta in gioco è il rilancio di un sapere artistico che, fino a pochi anni fa, rischiava di andare del tutto perduto. 

Quali sono state le tappe fondamentali della sua formazione artistica e culturale?

Dopo la maturità presso il Liceo Artistico “Barabino” di Genova, optai per l’Accademia Ligustica, diplomandomi nel 1989 in pittura con Mario Chianese. Pochi mesi dopo ero al lavoro con l’impresa di decorazione murale fondata da Adriano Rubbioli, un pioniere nel recupero della tradizione locale. In seguito iniziai l’attività in proprio, avvicinandomi al contesto ligure-piemontese attraverso la collaborazione con la ditta Gazzana Restauri di Acqui Terme (AL). Credo che la formazione liceale a forte caratterizzazione architettonica e prospettica, il magistero di Chianese (sia nei valori espressivi dei maestri dell’otto-novecento, sia nella preparazione artigianale di supporti e colori), l’apporto di docenti della Ligustica quali Ruggero Pierantoni (Percezione visiva e teoria della forma) e Paolo Bensi (Tecniche e materiali), mi abbiano fortemente sensibilizzata allo studio e al recupero delle tecniche antiche. Connaturata a questo tipo di approccio è la consapevolezza di essere, prima ancora che artisti, allievi ed artigiani cui si richiede una buona dose di umiltà. Fu così che, con alle spalle otto anni di lavoro nel campo della decorazione e del restauro, mi spostai a Faenza per imparare l’arte della ceramica, che da un quindicennio è l’altro mio medium espressivo.

Com’è strutturato il corso di Decorazione dell’Accademia Ligustica, e come si articola il suo insegnamento?

Come in ogni Accademia di Belle Arti, il corso consta di un Triennio comune e di un Biennio specialistico, didatticamente coordinati. Luigi Fontana ed io siamo i docenti di indirizzo per il Triennio, Silvana Ghigino lo è per il Biennio. Le lezioni hanno carattere prevalentemente laboratoriale. Si inizia dal disegno con esercitazioni di prospettiva, composizione e studio degli elementi degli Ordini architettonici, per giungere alla riproduzione, dapprima di elementi geometrici, poi, via via, di tutto ciò che, come avviene nelle decorazioni a rilievo, aggetta dal piano del prospetto (bugnati, cornici, ornati…). Nel Triennio si impartiscono le competenze grafiche e pittoriche essenziali per l’esecuzione delle facciate tradizionali, con particolare riferimento alla prassi otto-novecentesca, sulla base dell’eredità dagli ultimi maestri cui è storicamente possibile riallacciarsi. Tra di essi va ricordato almeno Giacomo (detto “Gin”) Parodi, del quale Silvana Ghigino è stata allieva. Oltre alle conoscenze teoriche, la didattica include anche quelle abilità manuali (nell’impugnare riga e pennello, nel comporre i colori, nel preparare disegni e spolveri…) che un tempo si apprendevano a bottega. Tali procedure, in uso sino a metà secolo XX, sono il frutto di oltre cinque secoli di esperienza, valida per qualsiasi tipologia architettonica: dalla decorazione aulica del palazzo nobiliare alla casa contadina al condominio operaio. Il Biennio prevede, oltre all’apprendimento e alla pratica di modelli decorativi più complessi, lo sviluppo di competenze relative alle capacità progettuali del singolo allievo, anche alla luce dei contesti contemporanei. Le esercitazioni si eseguono su muro simulando il più possibile, anche nei materiali (i silicati di potassio, cioè le migliori pitture murali per esterni), il lavoro di cantiere.

Momento di lavoro all’Accademia di Belle Arti Ligustica di Genova (foto © Beatrice Giannoni).

Qual è il riscontro in termini di iscrizioni? Vi è anche un corso di Decorazione rivolto ai linguaggi contemporanei?

Con i più recenti bandi a cattedre, la Direzione della Ligustica ha voluto dare una svolta all’insegnamento della Decorazione, che di fatto rischiava ormai di sovrapporsi a quello della Pittura. La risposta è stata incoraggiante: le iscrizioni sono in costante aumento e, ad oggi, sono più che raddoppiate rispetto al passato, determinando la richiesta di spazi più ampi. Completano la preparazione i corsi, pure a forte caratterizzazione laboratoriale, di Tecniche della Decorazione (Triennio) e Tecniche e Tecnologie della Decorazione (Biennio) tenuti dal Prof. Alessandro Fabbris, e rivolti a problematiche contemporanee quali il Wall Drawing, la Street Art, l’Arredo urbano, il Design di interni, eccetera.

Vi sono a Genova altri enti che curano il recupero e la pratica della decorazione pittorica per l’architettura?

Il recupero delle facciate dipinte ebbe il suo battesimo con una mostra-convegno del 1982, Genua Picta, che vide impegnati i maggiori esperti (soprintendenti, storici dell’arte, architetti, restauratori), genovesi e non. Nell’anno accademico 1984-’85 nacque alla Ligustica un corso biennale, conclusosi nel 1986 e rimasto purtroppo senza un seguito, rivolto a formare una nuova generazione di decoratori con competenze nel restauro. In seguito, a metà anni ’90, Tiziano Mannoni, già colonna portante di Genua Picta, incaricò Giacomo Parodi e Silvana Ghigino di insegnare presso i corsi di formazione della Scuola Edile Genovese, tuttora attiva. La situazione attuale, quindi, vede due possibilità di formazione: laurea breve e/o specialistica presso l’Accademia di Belle Arti; qualifica professionale di Decoratore presso la Scuola Edile.

Cosa restava della cultura e delle maestranze della tradizione genovese quando lei iniziò ad interessarsene?

Il mestiere del decoratore nella seconda metà del ‘900 era scomparso, tanto che al ritorno dalla guerra “Gin” Parodi (come altri colleghi probabilmente) dovette abbandonarlo, per aprire un’officina di costruzioni meccaniche. Solo a metà anni ’80 egli ricevette l’incarico di decorare, nel centro storico del quartiere di Sestri Ponente, due facciate che destarono l’interesse dei Proff. Rubbioli e Ghigino. Così, a lato delle ricerche accademiche di Genua Picta, rinasceva il mestiere dell’antica decorazione pittorica genovese. Io faccio parte della generazione di decoratori che, per questioni anagrafiche, si è formata a seguito di quegli eventi.

Il recupero estetico e funzionale dei centri storici in una realtà complessa come quella italiana è al centro del dibattito urbanistico ed architettonico degli ultimi quarant’anni. Quali linee di tendenza hanno prevalso negli anni scorsi in una città come Genova, con le sue importantissime emergenze storiche?

Negli ultimi venticinque anni Genova ha avuto ottime opportunità di riqualificazione: dai cantieri per le Celebrazioni colombiane (1992 ) ai restauri per il Vertice G8 (2001) e per Genova Capitale Europea della Cultura (2004). Data l’estensione e il complesso assetto urbanistico di impronta medioevale, molto c’è ancora da fare, e la crisi odierna certo non aiuta. Ma ormai la decisione di convertire Genova in autentica città d’arte e cultura, è nei fatti. Quanto alle soluzioni adottate dalla Soprintendenza per i beni sottoposti a vincolo non si può non citare il restauro delle facciate dei Palazzi dei Rolli. Questi edifici, oggi catalogati nel patrimonio UNESCO, sono così chiamati perché presenti negli elenchi (rotoli, in genovese “rolli”) delle dimore patrizie che, per volere dei Dogi, dovevano essere a disposizione della Repubblica come sedi di rappresentanza per ospitare le visite di Stato. Il trimestrale «Arkos» ha dedicato nel 2004 a questa campagna di restauro un supplemento, recante le schede di 36 dei 53 palazzi restaurati tra il 2002 e il 2004. Si è ovviamente operato secondo i dettami del restauro conservativo e della tracciabilità, per quanto possibile, degli elementi più antichi. Interessantissima per varietà di problemi e soluzioni, questa serie di interventi è stata una prima risposta alle istanze del convegno Genua Picta. Il dibattito teorico che ne è scaturito ha sottolineato in primo luogo l’esigenza di omogeneità ed unitarietà metodologica di tutti gli interventi. Ma – fatto interessante per chi si occupa di decorazione – ha anche fatto emergere la possibilità di andare oltre il più rigoroso operare conservativo, per colmare almeno le lacune troppo evidenti, come quelle che si osservano nell’elemento centrale a timpano del muro d’attico soprastante la facciata di Palazzo Cellario.

Facciata di Palazzo Cellario, a Genova, dopo i recenti restauri.

Come si sviluppa il confronto tra chi, come lei, pratica la decorazione e chi si dedica al restauro tout court?

Non da oggi si sente il bisogno di una figura di decoratore, che sia padrone della tecnica antica e in grado di interagire con il restauratore, con risultati apprezzabili sia sul piano funzionale che estetico. Le facciate dipinte sono particolarmente colpite dagli agenti atmosferici ed inquinanti, ma spesso si sono applicate procedure identiche a quelle usate per gli interni, arrivando, in alcuni casi paradossali, all’integrazione delle lacune ad acquerello in selezione cromatica, per poi dover rivestire il tutto con protettivi minerali, silossanici o addirittura polimerici. Ritengo che il principale obiettivo del corso di Decorazione presso la Ligustica debba proprio essere la formazione di questa specifica figura. Il decoratore e il restauratore devono poter collaborare al meglio e non, come spesso è avvenuto, escludersi a vicenda con risultati comunque deludenti.

Ci può tracciare una sorta di identikit del decoratore che lei e i suoi colleghi formate all’Accademia Ligustica?

Per formare un buon decoratore “finito”, come si usava dire una volta per qualsiasi artigiano, non basta una scuola ma servono anni di esperienza lavorativa. Tuttavia, data la nostra cura nello spiegare fin nei minimi dettagli segreti e risorse del mestiere, chi si forma presso di noi ha la consapevolezza e la preparazione teorico-pratica per affrontare il lavoro sui ponteggi. Inoltre, il piano di studi comprende una formazione culturale comune agli altri indirizzi d’accademia, che apre anche altri orizzonti e potenzialità, creando una figura di artista-artigiano polivalente, come quella che operava nelle botteghe di un tempo.

Quali sono le prospettive occupazionali e lavorative alla portata dei vostri iscritti? Esiste a suo giudizio la possibilità di tentare autonomamente la strada della libera impresa, nelle varie forme giuridiche previste?

Compatibilmente con la situazione economica e culturale (non disgiungibili l’una dall’altra) direi di sì: Decorazione è probabilmente, con Scenografia, l’indirizzo di studi accademico che offre le migliori prospettive di impiego. Quanto al lavoro in proprio, che esige precise capacità imprenditoriali, è consigliabile iniziare presso una bottega già esistente, per apprendere anche questo aspetto per niente secondario.

Momento di lavoro all’Accademia di Belle Arti Ligustica di Genova (foto © Beatrice Giannoni).

Chi è per principio ostile alla decorazione architettonica, solleva immancabilmente il problema dei costi aggiuntivi che essa comporterebbe. Cosa si sentirebbe di obiettare a questo luogo comune?

Come siamo in grado di riprodurre gli ornati antichi, così dovremmo recuperare il rapporto indissolubile che li lega agli oggetti di cui fanno parte, abbandonando l’idea che la decorazione sia un orpello applicato alla superficie. Il risultato è spesso una vera e propria mutilazione. Vi sono a Genova palazzi costruiti tra fine ‘800 e primi ‘900 e regolarmente decorati, ove nelle recenti ritinteggiature si è optato per il colore unico, a mio avviso proprio per un’errata interpretazione del concetto di decoro, visto come cosa superflua. In realtà, senza decorazione non si ha una versione “pulita” dello stesso oggetto, ma un altro oggetto. Qualunque progetto implica scelte a valenza decorativa: vuoi nell’impiegare questo o quel materiale (un pavimento di ardesia o legno o marmo dà differenti risultati estetici oltreché funzionali), vuoi nell’usare linee curve o spezzate, e via dicendo. Un oggetto – dalla tazzina al palazzo – nasce insieme alla sua decorazione. Nel vasellame ciò è particolarmente evidente: funzione, forma e decoro fanno la differenza, una cosa è conseguente all’altra. La foggia di una teiera deve rispettare proporzioni e misure appropriate, ed entro questi limiti la progettazione segue criteri estetici, cioè decorativi. Del resto, la decorazione è, fin dalla preistoria, un bisogno connaturato all’uomo: chi vorrebbe, oggi, accessori, abiti o automobili perfettamente identici o di un unico modello?

In alto: Genova, facciata di Palazzo Cattaneo Adorno. Sotto: Momento di lavoro all'Accademia di Belle Arti Ligustica di Genova (foto © Beatrice Giannoni).

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