Docente di Estetica al Politecnico di Milano, collaboratrice di diverse riviste specializzate, Simona Chiodo ha al suo attivo un'ampia produzione saggistica e la cura di importanti edizioni critiche. Il suo Estetica dell'architettura, Carocci, Roma 2011, rimedita il dibattito estetico-filosofico sviluppatosi in età moderna e contemporanea intorno all'architettura, illustrandone in altrettanti capitoli dieci nozioni-chiave: Ordine, Natura, Forma, Utilità, Ornamento, Spazio, Tempo, Autonomia, Eteronomia, Civiltà. Dal capitolo quinto, pp. 77-78, è tratto il passo che qui presentiamo con un titolo redazionale. Esso propone una disamina etimologica della parola “ornamento” e dei termini che le gravitano attorno, mettendone in luce la densità sia estetica che etica. Un vivo ringraziamento a Simona Chiodo e all'editore Carocci, per la loro cortesia e disponibilità.
L’etimologia della parola “ornamento” dà indicazioni significative: il sostantivo italiano “ornamento” deriva dal sostantivo latino ornamentum, che, secondo il dizionario di Gino Angelini 〈1〉, significa «apparecchio, apparato, corredo, equipaggiamento, fornimento, armatura», ma anche «ciò che abbellisce persona o edificio», e, traslato, «ciò che dà decoro». E il sostantivo latino ornamentum deriva dal verbo latino orno, «da accostare a ordior e ordo»: ordior è un verbo latino che significa «cominciare» et ergo «ordire, tessere» e ordo è un sostantivo latino che significa «ordine». La nozione di ornamento, allora, ha a che fare sui generis con la nozione di ordine. E cioè: parlare di ornamento non significa parlare di qualcosa di contrario all’ordine – viceversa, la sua etimologia sembra indicarci la presenza di una relazione con la nozione di ordine (ad esempio perché un ornamento può sia avere un ordine in sé sia fare parte dell’ordine dell’oggetto del quale è l’«apparecchio», «che abbellisce» e al quale «dà decoro». Siamo arrivati, qui, a un quesito importante, sul quale ragionare in seguito: un ornamento è qualcosa di autonomo rispetto all’oggetto al quale è aggiunto, e del quale non segue l’ordine? Viceversa, un ornamento è qualcosa di eteronomo rispetto all’oggetto al quale è aggiunto, e del quale segue l’ordine?).
Prima di provare a rispondere dobbiamo introdurre una seconda questione, legata sia all’analisi etimologica della parola “ornamento” sia al lessico, architettonico e filosofico, usato per indicare, in generale, «ciò che abbellisce […] [un] edificio»: l’etimologia della parola “ornamento” ci porta anche al significato traslato della parola ornamentum, e cioè a «ciò che dà decoro». E la trattatistica, architettonica e filosofica, che ragiona, in generale, su «ciò che abbellisce […] [un] edificio» usa di frequente le parole “decoro” e “decorazione”: la prima deriva dal sostantivo latino decorum, che significa «convenienza, decoro», e che deriva dal verbo latino decere («convenire, star bene, addirsi, confarsi»), e la seconda deriva da una parola del latino tardo che deriva dal participio passato del verbo latino decorare, che significa «ornare, abbellire, decorare». Un particolare interessante è che entrambe le parole “decoro” e “decorazione” sono legate al verbo latino decere, che sottintende una dimensione etica, perché significa «convenire, star bene, addirsi, confarsi», e, traslato, «essere giusto (conveniente, decoroso, opportuno), bisognare».
I particolari interessanti, allora, sono due. Il primo è che un ornamento può essere anche (ed è stato anche) un elemento che fa ordine, cioè che non fa di necessità disordine. Il secondo è che un decoro e una decorazione possono essere anche (e sono stati anche) elementi che danno decenza, dignità, cioè che non danno di necessità indecenza e indegnità. In ultimo, i due particolari interessanti condividono qualcosa di significativo: un quid etico – sia l’etimologia della parola “ornamento” sia le etimologie delle parole “decoro” e decorazione” hanno a che fare con «ciò che dà decoro», nel primo caso, con decorum e con decorare, nel secondo caso, cioè, comunque, con il verbo latino decere, che ha un significato etico perspicuo.
Allora, non possiamo ridurre la nozione di ornamento a un quesito sulla relazione tra gli elementi necessari e gli elementi superflui di una costruzione: un ornamento può essere (ed è stato) un elemento quasi necessario a ottenere qualcosa di essenziale, cioè qualcosa che ha a che fare con la decenza e con la dignità di una costruzione.
Proviamo a sintetizzare, prima, che cosa succede all’ornamento nel corso della storia dell’architettura occidentale e a ragionare, poi, su che cosa teorizzano i filosofi a proposito della nozione di ornamento, e della sua storia. La storia del’architettura occidentale sembra registrare sia qualche acme dell’horror vacui, e dell’aumento conseguente degli elementi ornamentali, sia qualche acme dell’amor vacui, e della diminuzione conseguente degli elementi ornamentali: l’architettura barocca secentesca, nel primo caso, e l’architettura funzionalistica novecentesca, nel secondo caso. Anche se la storia dell’architettura occidentale alterna fasi di horror vacui, fasi di amor vacui e fasi di equilibrio tra le due tensioni (ad esempio l’architettura classica, ma anche l’architettura successiva che fa riferimento all’ordine classico), è interessante provare a isolare le due acme e considerare gli sviluppi contingenti dell’estetica: non a caso, la speculazione filosofica sulla nozione di ornamento è concentrata nel Settecento, cioè subito dopo la sperimentazione barocca, e nel Novecento, cioè subito dopo la sperimentazione funzionalistica.
〈1〉 G. Angelini, Nuovo dizionario latino-italiano, a cura di R. Giomini, Milano, Società Editrice Dante Alighieri, 1999 [ndr].
In alto e sotto: Auguste Perret, Casa di Rue Franklin (particolari del paramento esterno), 1903, Parigi.