Il traguardo dei tre anni di attività è, per una rivista come la nostra, un approdo minimo ma già significativo. Esso merita qualche riflessione, ci invita a tracciare linee di ricerca e a fare auspici per il futuro. FD è nata scommettendo sulla possibilità di rimettere in circolo un lessico ritenuto demodé, rispolverando problemi ormai da lungo tempo lasciati ai margini del dibattito artistico. Ai margini, non fuori. Perché la decorazione non è mai stata del tutto espulsa dal corpo vivo dell’arte, e sarebbe un errore credere che la sua capacità di sopravvivenza sia da cercare solo nella direzione “ufficiale” che la maggior parte degli osservatori indica.
Per essere più chiari: quando leggiamo (capita sempre più spesso e in teoria dovremmo forse compiacercene) che già a partire dagli anni ottanta del ‘900 il panorama artistico ha reintegrato e fatto trionfare la decorazione, e che in fondo oggi quasi tutto, dalla pubblicità al graffitismo alle segnaletiche alla moda, è decorazione, ci permettiamo di dubitare di tanto ottimismo. Una cosa è decorazione, un’altra è decorativismo, riempimento di superfici e metrature utili.
C’è tutto un mondo, semisommerso ma vitale, che va dalle professioni artigianali, eredi dei fasti del passato e bisognose di riqualificazione, ai mille dilettantismi e associazionismi culturali, che riscoprono il disegno di pattern decorativi per ridare identità alle arti e ai mestieri tradizionali. È questo mondo la base sociale della decorazione, il sistema sanguigno in cui essa deve legittimamente circolare. Ma raramente questo mondo fa notizia, quasi mai i segnali che emette vengono registrati dalle cronache culturali. È anche ad esso che ci rivolgiamo, confortati dalla insospettata vitalità accademica che, in una realtà sempre più globalizzata e internazionale, la cultura della decorazione mette in mostra.
In alto: Particolare di mosaico pavimentale, I sec. a.C., villa romana di via San Mauro, Montegrotto Terme (www.aquepatavinae.it).