Coi suoi studi sull'arte antica, medievale e rinascimentale, lo storico dell'arte francese di origine lituana Jurgis Baltrušaitis (1903-88) è stato, nel secolo XX, tra i maggiori promotori dell'interesse per le arti decorative e per la decorazione tout court. Decorazione, cioè, intesa come arte che sovrintende al decoro dei manufatti occupandosi dell'ornamentazione delle superfici, in tutti i materiali e le tecniche di cui l'uomo si è servito per dare forma agli oggetti che lo circondano. Se le opere d'arte cosiddette “maggiori” spesso faticano a valicare le frontiere (e tanto più, rispetto a quelle politiche, quelle religiose, ideologiche e culturali) e ad essere assimilate oltre di esse, quelle che si definiscono appunto “decorative” non soffrono di queste limitazioni. E non parliamo solo di oreficeria, gioielli o oggettistica di pregio, ma anche di tessuti, monete, ceramiche, utensili e molto altro, dovunque si diano superfici adatte a supportare sistemi organizzati di segni. Ecco allora che Il medioevo fantastico a cui Baltrušaitis ha dedicato nel 1955 il suo libro più celebre si presenta come un medioevo non strettamente occidentale o carolingio o gotico ma, a tutti gli effetti, euroasiatico. E quindi anche islamico, buddhista, indù, animista o altro ancora, ogniqualvolta le rotte, gli scambi o la semplice curiosità dei viaggiatori, spiegano le ibridazioni formali e stilistiche tra l'Europa cristiana e altri mondi, lontani o lontanissimi. Il brano che qui presentiamo con un titolo redazionale è tratto dal cap. III del libro. L'edizione italiana a cui facciamo riferimento è: J. Baltrušaitis, Il Medioevo fantastico, Mondadori, Milano 1977 (su licenza Adelphi, 1973), pp. 98-104. Abbiamo eliminato le note originali aggiungendo brevi note redazionali. Le immaginiche corredano il testo sono il frutto di una scelta redazionale.
Le forme islamiche, d’altronde, non tarderanno a mescolarsi intimamente con la decorazione gotica. Dopo i motivi cufici, si nota una rinascita dell’intreccio proprio nel momento in cui la vegetazione viva esplode ed invade anche i margini. Verso la fine del Duecento e agli inizi del Trecento lo si ritrova dovunque, in tutte le grandi scuole di miniatura. Ma è nell’Inghilterra orientale e nei centri artistici vicini che prende maggior diffusione, almeno in una prima fase. Non si tratta più di semplici trecce, bensì di dedali costruiti con una sapiente distribuzione di angoli e di curve. A volte le pieghe si rompono e la treccia si ricompone per mezzo di zig-zag, di linee variamente spezzate, altre volte invece si sovraccaricano di nodi innestati dall’esterno. Talvolta nodi e cesure si alternano. Spesso gli intrecci sono interrotti a intervalli regolari, e questo consente di identificarne le forme nascoste – quadrifogli in croce di Sant’Andrea inscritti in quadrati, assi di cuori intersecantisi, concatenazioni di 8 e di losanghe. Modificando gli agganci interni di una stessa trama, è possibile scoprirvi un numero incalcolabile di figure: poligoni e polilobi si incastrano, si incatenano e si rinnovano all’infinito all’interno di un sistema fisso.
Molte di queste composizioni ricordano intrecci dell’VIII e del IX secolo con curve spezzate, dentellature, quadrifogli incrociati, ma esse derivano adesso direttamente dall’arte dei geometri musulmani che li hanno conservati attraverso i secoli. Mentre l’Occidente li aveva già più d’una volta abbandonati, l’Islam continuava imperturbabile le medesime variazioni sui medesimi temi, come una melopea che si ripete senza fine ed accompagna recitazioni diverse. Così ritroviamo contemporaneamente tutti i motivi che abbiamo visto sopra: gli intrecci dentellati, gli assi di cuori intersecantisi, i quadrifogli inscritti in quadrati, le grate intere intrecciate. Sono proprio tali trecce ricomposte secondo i procedimenti definiti mediante frazioni da parte di algebristi e poligonisti orientali, che riappaiono nella decorazione dei manoscritti gotici. Anche la finezza e l’eleganza calligrafica conservano in essi la qualità di un disegno islamico, e certe forme complesse si riproducono assolutamente intatte, come, ad esempio l’intreccio-rosone.
Il motivo è specificatamente musulmano. Lo si nota già in un Corano di un principe sulaihida dello Yemen, nel 1025. Compare frequentemente nella ceramica siriaca e iranica, nella Spagna arabizzante sui tessuti dei secoli XII e XIII, più tardi nella decorazione dei piatti lucidi di Valencia. Nella miniatura persiana lo si ritrova a volte sugli scudi. I Corani magrebini più tardi lo esprimono con un lusso e una complessità che non hanno eguali.
La miniatura occidentale copia fedelmente questi ornamenti. La treccia stellata del Breviario di Marguerite de Bar (inizi del Trecento) e di un libro italiano (1338) può essere confusa con la rosa intrecciata di una ciotola di Kashan (XIII secolo). Nel Salterio d’Ormesby, i vertici si caricano di ghiande e di fogliami, ma vi si trovano anche intrecci a cerchi incatenati, come nei più sontuosi rosoni orientali. Ci se ne è serviti, talvolta, perfino nella decorazione di edifici: Harvey 〈1〉 ha messo in luce una notevole somiglianza tra gli intrecci complessi, basati sul medesimo tema, della decorazione della cattedrale di Canterbury (ca. 1320) e quelli di un mihrab persiano coevo.
Leonardo da Vinci ha combinato questi elementi decorativi nei suoi sei nodi, rimasti come l’emblema del suo pensiero, tortuoso e inflessibile nello stesso tempo. Il Vasari ne parla, precisando che egli «perse tempo fino a disegnare gruppi di corde fatti con ordine, e che da un capo seguissi tutto il resto fino all’altro, tanto che s’empiessi un tondo» 〈2〉.
Questi «tondi» e «gruppi di corde», chiamati anche labirinti, sono composti da parecchie ruote fatte di 8, di poligoni, di cerchi, di assi di cuori intersecantisi e allacciati. Tutte le loro componenti sono libere e perfettamente leggibili, indecifrabili e unite. Ogni voluta si inscrive con grande chiarezza, ma conserva segreto il suo meccanismo. La perfezione ha, qui, del miracoloso.
Si è pensato che in questi disegni, che recano al centro l’iscrizione Academia Leonardi Vinci, fossero stati concepiti per decorare le tessere d’ammissione della scuola milanese del maestro oppure come un ex-libris personale. Secondo l’Errera, però, si tratterebbe di insegne parlanti, che giocano sulla parola «incatenato» – «Vinci». Il D’Adda vi vede solo modelli per merletti o ricami 〈3〉.
Si tratta, anzitutto, di un esercizio d’abilità su forme pure, un gioco d’intelligenza. Come era accaduto in epoca gotica, i motivi sono stati utilizzati anche nella decorazione architettonica: dal Bramante, sulla cupola di Santa Maria delle Grazie a Milano, dalla stesso Leonardo, sul soffitto della Sala delle Asse nel Castello Sforzesco (ca. 1498), anche se, in quest’ultimo caso, l’artista ha formato il nodo con sedici alberi. Durante il suo secondo soggiorno italiano Dürer reincise su legno le sei composizioni, sopprimendovi la firma, che poi sostituì con il proprio monogramma. Nel diario di viaggio verso i Paesi Bassi, gli knoten 〈4〉 sono ricordati come un regalo fatto a un vetraio di nome Dietrich.
Annodati attorno a due celebri nomi, gli intrecci stellati sono ora particolarmente illustri. Chiamati anche gruppi moreschi, arabeschi o cordelle alla damaschina, essi si ricollegano direttamente ai rosoni arabi intrecciati, somigliantissimi come sono a quelli eseguiti sui Corani africani del periodo coevo, ma si saldano anche, per il tramite dell’Islam, alla tradizione gotica, che ha assimilato gli stessi temi fin dal Trecento.
Dopo un certo tempo l’intreccio si diffonde anche sotto un nuovo aspetto: formato non più da fili sempre più fragili e fini, ma semplicemente da linee calligrafate a tratto ora pieno ora sottile. Il motivo passa così nella scrittura gotica. Per una curiosa contraddizione, questi ornamenti a tratto di penna, chiamati cadeaux 〈5〉, sono più frequenti nella decorazione dei libri stampati che nei manoscritti. Con essi si compongono lettere, fregi e vignette, utilizzando oltre le semplici trecce anche l’intera gamma delle loro variazioni. L’angolazione acuta e l’alternanza fra linee molto marcate e fini conferiscono alle figure un carattere più secco e più preciso. Tutto è leggibile e nitido, nonostante la profusione di elementi. Due tratti vicini non si confondono mai. Sembrano essere stati tracciati da dita d’acciaio.
Il motivo evolverà verso la complicazione e verso un allentamento della struttura. Si moltiplicano gli angoli e gli 8, si innestano nodi sulle punte e sulle curve, rivestendo la lettera di una armatura dentellata; a volte essi si dilatano in ampie ondulazioni, a volte si rinserrano. Nuove curve nascono sotto l’impulso del ritmo della mano che avanza sulla carta. Le trecce si scompongono, durante il Quattrocento, nella cadenza stessa della scrittura. Fioroni, pieghe doppie, triple, linee spezzate sembrano dilaniare le forme regolari e si spendono in ogni direzione. Ma l’intreccio non si perde in questi capricci: anzi si riannoda continuamente attorno a queste combinazioni più libere. Talora, però, ricompare nel rigore e nella secchezza originali. Nei suoi cadeaux un frontespizio tedesco ripete ancora, nel 1572, tutte le figure poligonate. Vi ritroviamo le forme merlate e gli intrecci che annodano sagome di 8, assi di cuori, quadrifogli, larghi graticci a pieghe spezzate. I temi che si sono ampiamente diffusi durante tutto il Medioevo si ripresentano e si compendiano, per così dire, nella loro purezza tutta islamica. La persistenza della scrittura gotica, associata a questi disegni, mette in risalto, ancora una volta, la stretta unione dei due sistemi.
〈1〉 J.H. Harvey, The Gothic World, 1100-1600, Batsford, London 1950 (ndr). 〈2〉 G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti (secondo l'ed. “giuntina” del 1568), Newton Compton, Roma 1991, p. 558 (ndr). 〈3〉 G. d'Adda, Essai bibliographique sur les anciens modeles de lingerie, de dentelles et de tapisseries en France, en Allemagne et en Flandre, Aux bureaux de la Gazette des beaux-arts, Paris 1864 (ndr). 〈4〉 Knoten: in lingua tedesca, “nodo” (ndr). 〈5〉 Cadeaux: in lingua francese, “doni”, “omaggi” (ndr). In alto: Jurgis Baltrusaitis (films.louvre.fr). Sotto: Campionario di merletti, secolo XVII, Bologna, Museo Civico Medievale.