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La rappresentazione del Centro

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L’idea del Centro è un tema tecnico fondamentale nella Decorazione, cui non sono estranee implicazioni metafisiche 〈1〉. In linea di principio, è corretto affermare che il concetto di “decoro” si basa sul senso dell’ordine, il cui fondamento è, appunto, l’idea del Centro. Una conferma empirica di questo assunto proviene dal classico vaso di fiori recisi, immancabilmente collocato al centro della tavola. Il magnetismo di questo punto-chiave del nostro decoro domestico è talmente forte da aver generato una precisa tipologia di recipienti, detti appunto “centrotavola”. Recipienti che fino a qualche anno fa venivano posti sopra tessuti ricamati – quindi riccamente ornati – chiamati a loro volta “centri”.

Se a partire da questo dato minimo allarghiamo la scala, non possiamo fare a meno di notare come il magnetismo del centro si riproponga nel decoro di una stanza. Vi è un asse di forza che va dal centro del soffitto (luogo riservato al lampadario) al centro del pavimento (non sempre evidenziato da un particolare disegno) e ordina progressivamente tutti gli apparati decorativi presenti nell’ambiente. Essi, infatti, non funzionano come tappezzerie tagliate a metro e applicate “a correre” sulle pareti, ma come composizioni organiche che, pur senza darlo a vedere, sottostanno alla polarità di un centro generatore. Tralasciando gli aspetti metafisici della questione, peraltro da noi già affrontati 〈2〉, ci interessa in questa sede analizzare le implicazioni operative che portano alla composizione dei suddetti apparati attraverso l’individuazione di figure topiche dell’ornatistica tradizionale.

Alessandro Mazzucotelli, Cancellata (particolare), 1910, ferro battuto, Monza, Cappella espiatoria.

La figura-chiave da cui prendere l’avvio è la circonferenza tracciata con un compasso. In essa la parte visibile è il cerchio, ma l’interno, pur apparendo vuoto, è tutt’altro che neutro. Quella che potremmo definire “la sindrome del vaso di fiori” si presenta qui all’ennesima potenza: nessuno inserirebbe a cuor leggero in uno spazio circolare qualunque elemento non fosse concentrico. Il Centro, quindi, pur essendo il punto magnetico pregnante di ogni spazio, paradossalmente appare sempre vuoto. Tutto quello che accade si manifesta presso la circonferenza, che ne rappresenta il limite.

Le prime cose che accadono, ovvero i primi enti manifestati, sono i poligoni inscritti, cioè figure geometriche piane e regolari costruite sulle strutture interne della circonferenza. Triangolo, quadrato, pentagono – e via via proseguendo nell’elencazione dei poligoni regolari – sono quindi le prime figure concrete a manifestarsi, ossia a scaturire dalla dinamica del centro che si irradia verso la circonferenza. Si usa qui la definizione di “concrete” per intendere “visibili”, in quanto la circonferenza che ne costituisce il limite spesso rimane inespressa, quindi invisibile 〈3〉. I poligoni regolari di base (quelli irregolari non sono enti primi, ma figure di risulta di intrecci successivi), hanno però dei precisi limiti estetici: o sono troppo semplici, come il triangolo e il quadrato, o non sono simmetrici, come il pentagono e tutti i poligoni con un numero di lati dispari. Per questo motivo si usa sovrapporli e invertirli. Il triangolo genera allora la stella sei punte, il quadrato quella a otto punte, il pentagono quella a dieci, eccetera.

Manifattura turca di Iznik, Piastrella con arabesco, 1560 circa, ceramica, Harvard, Harvard Art Museum/Arthur M. Sackler Museum.

Le stelle sono il secondo ente che incontriamo ed hanno indubbi vantaggi estetici: i lati sono più inclinati e dinamici rispetto a quelli dei poligoni che le compongono, i vertici scandiscono ritmicamente lo spazio creando una raggiera di opportunità compositive. Hanno però un difetto: essendo appunto stelle, si caricano immediatamente di significati simbolici, portati spesso in dote dai poligoni di cui sono composte. Inutile qui dilungarsi nell’analisi della stella a cinque punte, o di quella a sei o a otto. Diciamo che le stelle sono sempre rischiose da inserire negli apparati decorativi, a meno che non le si neutralizzi moltiplicandone le punte (portandole per esempio a trentasei, settantadue ed oltre). Questa operazione, tuttavia, le rende difficili da gestire sia a livello estetico che tecnico, ragione per la quale le stelle si usano quasi esclusivamente per disegni pavimentali, dove le grandi dimensioni consentono una lavorazione sostenibile ed una resa estetica apprezzabile. Nelle dimensioni ridotte si prende allora un’altra strada: le si fa gemmare. La stella diventa così rosetta.

La rosetta (o rosa, o rosone secondo le dimensioni) mantiene la struttura e, in modo più blando, la simbologia della stella, ma risulta esteticamente più neutra e consente un’articolazione formale più complessa ed elastica. La gemmatura, infatti, richiamando linee fitomorfe, consente l’inserimento di ordini secondari di elementi (tipica è l’alternanza foglia-fiore), l’uso di linee spezzate, di curve e di ulteriori segni quali nervature, riccioli, volute, eccetera. La rosetta rappresenta effettivamente il motivo-chiave di ogni repertorio ornatistico, perché chiamata ad innescare il punto di generazione degli apparati decorativi. Essa viene usata ogni qualvolta vi è da coprire un centro, creando nel contempo un aggancio per i conseguenti ornati che si sviluppano “a correre”. Questa sua funzione si attiva con la presenza simultanea di due figure-limite virtuali ben precise: il cerchio ed il quadrato.

Fornaci San Lorenzo (Chini & C.), Rosetta architettonica, 1910-15 circa, grès policromo, Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche.

Spieghiamoci meglio, partendo dalla prima delle due figure-limite, quella circolare. Come abbiamo visto, la rosetta scaturisce dall’articolazione interna della circonferenza, ragion per cui il suo limite esterno è naturalmente circolare, a prescindere dal fatto che il cerchio venga evidenziato o meno. E’ pur vero che, enfatizzando la simmetria centrale e/o l’aspetto fitomorfo, si possono costruire rosette anche con strutture quadrate, romboidali o rettangolari, ma si tratta di varianti occasionali o, per così dire, di “licenze poetiche”. Insomma, la rosetta non può che essere, per definizione, rotonda. Si riconsideri l’esempio iniziale: il tavolo senza nulla al centro risulta spoglio, quindi indecoroso, perché il magnetismo del suo centro, non compensato, crea una dinamica estetica negativa, insopportabile per la casalinga che, ricevuti i fiori, vuole dare ordine al proprio salotto. Il vaso di fiori, a sua volta, rimane un oggetto inutile ed ingombrante se, anziché sul tavolo, viene posto in qualunque altro luogo della casa. Si hFornaci San Lorenzo (Chini & C.), Rosetta architettonica, 1910-15 circa, grès policromo, Faenza, Museo Internazionale delle Ceramiche.a cioè una carica “negativa”, il centro tavola, neutralizzata o compensata da una ingombrante carica “positiva”, il vaso di fiori. Dunque non importa quanto grande e di quale forma sia la superficie – soffitto, pavimento o altro – di cui la rosetta è centro: essa deve comunque esserci, altrimenti l’oggetto ornatistico che avremo di fronte non sarà più una rosetta ma altra cosa. Come motivo ornatistico, la rosetta esiste solo in relazione allo spazio di cui è il centro. Prova ne sia il fatto che oggetti tondi ma non destinati ad uno spazio preciso, quali ad esempio scudi o piatti, raramente sono decorati con tale motivo.

Resta da chiarire in che modo lo spazio incentrato sulla rosetta possa avere un limite virtuale tendente al quadrato. Se è vero che le superfici “di relazione”, così come le abbiamo descritte fin qui, possono avere qualunque configurazione, è vero altresì che l’innesco degli apparati decorativi a sviluppo rettilineo, pertinenti a tali superfici, può verificarsi solo se vi è un raccordo con il limite circolare della rosetta. Il quadrato, quindi, rappresenta in molti casi la figura-limite virtuale nella quale tende a iscriversi la circolarità che emana dalla rosetta, nel momento in cui incontra la stratificazione lineare degli ornati “a correre”.

Infine, due parole sull’aggettivo “virtuale”: proprio perché ogni spazio ha dimensioni proprie ed ogni apparato decorativo fa storia a sé, l’aggettivo va qui inteso in rapporto all’idea di “limite”, nel momento in cui una figura sfuma e si iscrive nell’altra.

〈1〉 Cfr. M. Lazzarato, L'Idea del Centro, in Fare Decorazione, n. 12, nov-dic 2012.

〈2〉 Vedi M. Lazzarato, Il Settimo Raggio ovvero l'Idea del Centro, Lendinara, EGS edizioni, 2007.

〈3〉 A tale proposito si veda il disegno di M. Lazzarato in calce all'articolo L'Idea del Centro, in FareDecorazione, n. 12, nov-dic 2012.

In alto: Leon Battista Alberti (su disegno di), Sol Invictus, 1470 circa, intarsio marmoreo, Firenze, Santa Maria Novella. Sotto: Louis Comfort Tiffany (su disegno di), Rosetta per telaio di finestra, 1900 circa, Cleveland, Lake View Cemetery, Wade Memorial Chapel.

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