Reggio Emilia fu tra le prime città a livello mondiale ad ospitare un’antologica di Maurits Cornelis Escher (1898-1972) dopo la sua scomparsa. Si era nel 1976, e di quella bellissima esposizione tenutasi presso il Teatro Municipale, che presentava un artista ancora sconosciuto ai più e tuttavia già oggetto di culto da parte di una ristretta schiera di appassionati, nessuno ricorda più nulla. Trentasette anni dopo quell’evento, dal 19 ottobre 2013 al 23 febbraio 2014, Reggio Emilia ospita, presso Palazzo Magnani, un’altra importante mostra dell’incisore olandese. I tempi sono completamente mutati ma Escher resta appunto un enigma. Un enigma che la mostra e il catalogo (Skira editore, a cura di Marco Bussagli, Federico Giudiceandrea, Luigi Grasselli) cercano di dipanare in tutte le sue sfaccettature. Sulla scorta di una bibliografia ormai imponente, segno di una fortuna critica che non conosce flessioni, Escher viene analizzato con grande competenza nei rapporti col contesto artistico a lui precedente e contemporaneo, nelle tangenze sia colte sia popular del suo percorso, negli importanti addentellati matematici, geometrici, epistemologici. Se si dovesse indicare un luogo (fisico, culturale e spirituale insieme) in cui tutti questi approcci si addensano e si solidificano dando corpo all’ “enigma Escher”, questo non potrebbe essere che l’Alhambra di Granada.
Come altri artisti, infatti, anche Escher ebbe il suo battesimo del fuoco e la sua consacrazione poetica studiando, ricopiando, misurando e rielaborando in proprio, una prima volta nel 1922 e poi di nuovo nel 1936, il vastissimo repertorio decorativo lasciato dalla civiltà araba nella penisola iberica e, in particolare, proprio a Granada. In realtà, il nesso architettura-decorazione fu sempre sotto la lente di ingrandimento di Escher, si trattasse dell’edilizia dell’Italia del sud o del barocco romano. Ma il suo (e di tanti altri) speciale interesse per l’Alhambra, dimostra una volta di più, se ce ne fosse bisogno, che in un particolare frangente delle sua storia l’Islam ha saputo concentrare sulla decorazione per l’architettura una mole di ricerche formali incredibilmente complessa, capace di nutrire le epoche successive fino alla nostra.
Arte-scienza, arte-geometria, arte-matematica. Non sono forse, questi connubi tanto cari agli studiosi e agli appassionati di Escher, gli stessi che vengono evocati quando ci si occupa dell’arte ornamentale di tutte le epoche? Ma ciò che nel caso di Escher è occasione di elogio, nel caso della decorazione viene presentato come un limite, come se la vera libertà espressiva stesse altrove, lontano dal rigore logico e dalla perizia artigianale. Auguriamoci che l’inossidabile Escher (che, non bisogna dimenticarlo, fu anche progettista di opere destinate a edifici pubblici e privati) contribuisca a far tornare di moda parole come “ornamento” e “decorazione”. Nel loro alveo storico, il connubio tra arte e discipline tecnico-scientifiche è un dato di fatto concreto, empirico, che chiunque può misurare davanti alla forza delle opere, contemplando le immagini nella loro valenza linguistica e metafisica, anche senza necessariamente intendere i loro aspetti matematico-algebrici.
In alto: Maurits Cornelis Escher, Giorno e notte, 1938, xilografia, cm. 39,3 x 67,8. Sotto: Maurits Cornelis Escher, Particolare di mosaico murale dell'Alhambra, 1922, acquarello su carta.