Palazzo Angeli, a Rovigo, è un imponente edificio seicentesco sito nell’omonima via. Negli anni Venti del ‘900, nelle sue cantine venne ricavato un albergo diurno, cioè un bagno pubblico con docce e vasche, “ufficio” molto in voga in un periodo in cui non tutti avevano l’acqua corrente o il bagno in casa. Il locale è oggi sventrato per i lavori di restauro del palazzo, ma reca ancora tracce del sontuoso arredo interno, dai rivestimenti marmorei bianchi con cornici nere. La parte più interessante per chi si occupa di Decorazione è il pavimento superstite, eseguito a mosaici con tessere quadrate “standard” in ceramica, composte secondo una serie di complicati motivi ornatistici ad intreccio. Proprio il pavimento suggerisce alcune riflessioni.
La prima nasce dallo stupore nel trovarsi di fronte ad un disegno molto ricco, cosa invece normalissima agli inizi del ‘900. Nelle case di quell’epoca, i pavimenti sono stati i primi ad essere demoliti nelle successive ristrutturazioni, per poter accogliere gli impianti tecnologici imposti dal progresso tecnico. Come spesso avviene, una cosa ordinaria in un dato periodo, proprio per la sua presunta banalità, viene sacrificata nelle fasi successive e se ne perde il ricordo. Il pavimento decorato era una prerogativa del liberty italiano, il quale, tolti pochi edifici monumentali, si esplicò nelle abitazioni piccolo e medio borghesi e in pochi edifici pubblici. Con la conseguenza che gran parte dell’edilizia liberty venne demolita o alterata negli anni della ricostruzione postbellica. Se per gli esterni si conservano testimonianze cospicue, interni e pavimenti sono quasi sempre perduti o sopravvivono nella memoria degli anziani. Stupore, quindi, nell’imbattersi in un pavimento decorato del primo ‘900 ancora intatto: quasi lo stato d’animo, per la rarità del reperto, di chi ammirasse un mosaico romano.
La seconda riflessione entra nel merito del manufatto e del luogo. Le pavimentazioni sono eseguite con tronchetti standard in ceramica di cm. 2×2, più altri curvilinei, sempre standard, delle stesse dimensioni, e recano motivi ornatistici assai complessi pur nell’essenzialità imposta dal materiale. Tale complessità implica: a) una conoscenza ornatistica approfondita in fase di invenzione; b) un iter produttivo qualificato per quanto concerne la realizzazione del motivo, presumibilmente svolta in laboratorio e non in opera. A qualificare un manufatto d’uso come il pavimento di un bagno pubblico non era infatti il pregio del materiale o il costo della posa, ma la professionalità dell’ornatista, l’unico in grado di legittimare col proprio disegno sia il manufatto sia il luogo che lo ospitava. Ciò detto, si può immaginare che ornatista e posatore coesistessero, se non nella stessa persona, certo nella stessa impresa. Materiale e progetto convivevano: il posatore era anche decoratore e viceversa. Pavimenti, vetrate, mobili, prospetti esterni privi di un disegno che desse loro adeguato Decoro, erano impensabili.
Ne viene una terza ed ultima riflessione. Il ‘900 si è caratterizzato per un furore iconoclasta nei confronti della Decorazione, sorretto da argomentazioni via via più risibili. Con la conseguenza che il minimalismo si è sostituito alla Decorazione e il monocromo all’Ornato, e il melange è divenuto la tinta dominante per cercare di rendere il risultato più “vivo”. E’ sufficiente confrontare le odierne applicazioni di mosaico “standard” con il modello offerto dal diurno di Rovigo, per cogliere la profondità dell’abisso scavato da un secolo di razionalismo “talebano”. Ora che la globalizzazione presenta il conto, la vexata quaestio della Decorazione si pone in ben altri termini.
Il monocromo-melange-minimalista è, appunto, monocromo, in qualunque sfumatura. Chiunque può produrlo, per cui non si vede perché comprare un costoso prodotto italiano quando l’equivalente cinese costa un decimo. La qualità è inferiore? Chi se ne frega, è monocromo! E perché pagare i posatori italiani quando i concorrenti moldavi lavorano alla metà, e in nero? Sono meno bravi? Chi se ne frega, è melange! A che serve l’architetto, se basta scegliere direttamente il prodotto dal rivenditore di piastrelle? Il risultato è banale? Chi se ne frega, è minimalista! Come si dice: a buon intenditore… La competenza dell’ornatista o la formazione ornatistica di altre figure (piastrellisti, muratori, vetrai, eccetera) sono oggi, per gli artigiani italiani e le collegate piccole e medie imprese del settore artistico, la sola vera possibilità per superare la crisi strutturale in atto. Ma questo è un altro discorso.
In alto: brano di mosaico pavimentale, inizi secolo XX, Rovigo, Palazzo Angeli. Sotto: mosaico pavimentale romano, IV secolo d.C., Kourion (Cipro), terme di Eustolios.