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Pier Francesco Sciuto / Le disuguaglianze nell’arte

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di Marco Lazzarato

Dopo Patternland (2022), il suo primo libro dedicato ai pattern visti in chiave matematica, Pier Francesco Sciuto torna sul tema con una nuova pubblicazione dal titolo enigmatico: Le disuguaglianze nell’arte. Il sottotitolo parla di Interpretazione matematica di simboli e arte musiva romana, offrendo qualche indizio in più ma senza chiarire la questione fondamentale. Ovvero, perché esso è stato scritto e a chi si rivolge. Per cogliere il senso e il valore dell’operazione di Sciuto occorre collocarla nel giusto contesto. Se è vero infatti che il libro concerne l’analisi matematica dei simboli e dei motivi dei pavimenti musivi romani, è vero anche che gli interlocutori a cui si rivolge non appartengono né al mondo della matematica né a quello dell’archeologia, ma a quello della decorazione. Termine desueto questo, del quale va chiarito subito il vero significato: decorazione è l’arte che si occupa del decoro dei manufatti.

Rinunciando a indagare cosa sia arte (discorso questo che ci porterebbe molto lontano), occupiamoci dell’altra parola chiave, anch’essa desueta, presente nella definizione di cui sopra: “decoro”. Essa indica la necessità, per una persona o una cosa, di essere adeguata (ossia opportuna, pertinente, consona) alle circostanze. Contrario al decoro non è infatti, come comunemente si crede, ciò che è brutto, ma ciò che è indecoroso, inopportuno. Scopo della decorazione non è dunque “abbellire” ma conferire decoro a ciò che, altrimenti, risulterebbe indecoroso. Il “bello”, inteso come qualità estetica propria dell’oggetto o della persona, può partecipare di questa azione, ma non ne è parte essenziale. Ad esempio, ci si può recare alla prima del Teatro alla Scala di Milano con un brutto abito nero comprato ai grandi magazzini, ma non con bermuda e camicia a fiori, anche se di firma. Analogamente, in una spiaggia estiva, è inopportuno avviarsi verso gli ombrelloni in smoking, per quanto tale abito possa ritenersi “bello”.

Ora, la domanda che sorge spontanea è: perché i manufatti sono “indecorosi” e hanno quindi bisogno di un’arte che ne curi il decoro? Per la stessa ragione per cui le poltrone di un teatro sono investite di una funzione civile differente da quelle del bar di una spiaggia, anche se la funzione propria (ovvero, ciò che concerne la comodità, la robustezza, la funzionalità…) resta la stessa. Qualunque manufatto, «dal cucchiaio alla città» (per citare lo slogan coniato nel 1952 da Ernesto Nathan Rogers), nasce per assolvere a una precisa funzione, ma non sarà questa a determinarne la forma finale.  Qualunque oggetto, se si limita ad assolvere alla funzione che lo rende necessario, non può che essere “nudo”. Finché esso resta fra le mura domestiche il problema non si pone, ma per essere accolto in società esso deve indossare un abito “opportuno”. Si immagini di visitare un museo della ceramica. Se la ragion d’essere di una ciotola consistesse solo e unicamente nel contenere cibo (cioè nella funzione propria), allora in quel museo sarebbe ragionevole vedere esposta una e una sola ciotola, pressoché immutata dalla preistoria a oggi. Ma sappiamo bene che non è così.

Il campionario di cui la decorazione si avvale per attuare le proprie realizzazioni è l’ornato, il cui scopo è proprio quello di “abbellire”. E “abbellire” non genericamente, ma secondo i canoni di decoro propri del gruppo sociale col quale si sta interagendo. L’ornamento discende sempre da un’idea di abbellimento ottenibile attraverso un’aggiunta, un arricchimento, una sovrapposizione, una copertura, tramite segni di varia natura. A sua volta, tale idea sottostà al principio del decoro, che è proprio di un determinato gruppo sociale. Il paradosso che ne consegue è ben esemplificato nel celebre saggio di Adolf Loos Ornamento e delitto. Ovvero, ciò che agli occhi di una popolazione primitiva come i Papua della Nuova Guinea, è magnifico ornamento corporeo ottenuto con opportuni tatuaggi, per il raffinato europeo del XX secolo è un indecoroso segno di inferiorità culturale. Al netto di queste variabili culturali, nel corso del tempo l’arte della decorazione ha stabilizzato la propria materia operativa, cioè l’ornato, costruendo un repertorio di modelli esemplari selezionati in virtù del loro successo.

Abbiamo quindi un’esigenza primaria generale, il decoro, che viene affrontata da una specifica arte, la decorazione, che si avvale di una strumentazione specialistica, il repertorio d’ornato. Quest’ultimo è costituito da un catalogo di modelli, che fungono da prototipi da cui partire per elaborare le soluzioni applicabili caso per caso. Fino alla metà del secolo scorso vi era una copiosa manualistica che metteva a disposizione tali modelli per tutti coloro che ne avevano bisogno, cioè artigiani, artisti e progettisti dalle varie competenze. Eccoci giunti al punto: quello di Sciuto è un libro di modelli. Ma per definirsi tale, un libro di modelli deve avere precise caratteristiche.

Innanzitutto, i modelli presentati devono essere canonici dal punto di vista storico-culturale generale, ma questo non basta. Devono esserlo anche dal punto di vista esecutivo: devono cioè essere modelli-base, archetipi della famiglia di ornati alla quale appartengono. Non vi è dubbio che la puntuale ricognizione di Sciuto sui motivi geometrici della pavimentazione musiva romana soddisfi il primo requisito, essere cioè una fonte storico-culturale attendibile. Si deve considerare anche che quello dell’ornato è un territorio vastissimo, e un libro che ne raccoglie i modelli deve rivolgersi a un target artistico e professionale ben preciso. Dal tessuto alla vetrata, dal ferro battuto alla marmeria e via dicendo, tutti i settori produttivi hanno bisogno di ornati, ma nessun ornato va bene per tutto.

Per esempio: il motivo floreale che rende sontuoso un tessuto damascato, risulta ripugnante se usato come ornato per la pavimentazione in marmo di una piazza. Il fatto che con le odierne tecnologie ciò si possa fare, non giustifica certe oscene realizzazioni contemporanee. Vi saranno quindi libri di modelli per i tessitori, gli ebanisti, i marmisti, eccetera. I motivi geometrici scelti da Sciuto, in questo senso, rappresentano certamente un modello per il settore della marmeria e per chi si occupa di rivestimenti murali in generale, ma proprio in virtù della loro astrattezza possono essere ripresi e rielaborati anche in altri ambiti. Il motivo geometrico in effetti rappresenta la base della piramide dell’ornato, una base che si presta a molte elaborazioni e si abbina a varie situazioni.

Vi è un ulteriore merito da riconoscere al libro di Sciuto. Noi usciamo da un’epoca razionalista di cui subiamo ancora i condizionamenti. Per questa ragione, un repertorio di ornati geometrici è più in sintonia col gusto corrente rispetto ad uno, per esempio, di motivi floreali, molto in voga nell’800 ma oggi desueto. Un libro di modelli è uno strumento operativo, e proprio per questo deve essere immediatamente utile a coloro che se ne servono. Ma chi sono oggi costoro? Tutti coloro (e sono molti) che hanno necessità di conferire decoro alle superfici, quelle superfici che sono la “pelle” di ogni manufatto, la prima cosa che si vede e che lo qualifica in termini di decoro. Le superfici bianche e vuote teorizzate da Adolf Loos e poi recepite dal Razionalismo architettonico, poggiavano sulle stampelle dell’ideologia modernista ma, dopo che queste sono venute meno, si sono rivelate per quello che erano: squallide ed indecorose.

La valorizzazione delle superfici è una questione trasversale, che spazia dall’ingegneria civile al design d’interni. Ogni settore possiede proprie soluzioni base, date dall’aspetto esteriore dei materiali. Nel caso di un mobile si useranno i piallacci disposti nel modo più opportuno. Nel caso di un ponte, le superfici risponderanno alla qualità e alla composizione dei materiali cementizi. Tuttavia, queste soluzioni hanno ormai raggiunto il limite. Rimangono cioè efficaci come finitura primaria, ma oggi vi è la necessità di andare oltre. In quale direzione? Verso il recupero di un ornato canonico e regolare, tramite l’invenzione e la traduzione progettuale di disegni in grado di creare gli opportuni motivi di decoro. E qui, il libro di Sciuto fa un ulteriore passo in avanti: tramite il link riportato a pagina 202, il lettore può reperire le chiavi matematiche per disegnare tali motivi. In altri tempi non se ne sarebbe sentito il bisogno. Oggi, in piena rivoluzione informatica, questa possibilità di traduzione risponde a una necessità reale.

Il libro: P.F. Sciuto, Le disuguaglianze nell’arte. Interpretazione matematica di simboli e arte musiva romana, Pendragon, Bologna 2024, pp. 207,  € 30.

Homepage: dettaglio di pavimentazione di villa romana di età repubblicana, fine II secolo A.C., Risan, Montenegro (Sailko/Wikimedia). 
Sotto: la copertina del libro.

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