a cura della redazione
Visitare una mostra di Nicola Verlato (Verona 1965) è sempre un’esperienza rigenerante, e questa antologica che si è appena aperta a Imola – una selezione di opere realizzate dal 2002 a oggi, preceduta da una piccola, suggestiva ouverture con alcuni disegni giovanili dell’artista – non fa eccezione.
Con Verlato ci si trova di fronte a un pittore – nonché scultore, modellatore, renderizzatore – padrone del proprio mestiere e orgoglioso di esercitarlo, con un piede nel passato e l’altro nel futuro. Egli predilige i grandi formati della tradizione rinascimentale, e si avvale di un linguaggio figurativo che comporta l’uso, sapiente e senza alcun senso di colpa, delle figure retoriche della cultura classica. Che è quel che hanno sempre fatto gli artisti in tutte le epoche, in ambito sacro e profano.
Le grandi pale di Verlato sono piene di pathos, ostentano virtuosismi ed eccessi, non arretrano di fronte al sacro terrore di apparire kitsch, populiste, reazionarie e chi più ne ha più ne metta. Tutte definizioni che non hanno mai la loro reale giustificazione nell’opera, così come si presenta agli occhi di chi guarda. Ma nascono invece dall’approccio ricattatorio e fideistico che una certa idea di “contemporaneo” – basata sul rifiuto a priori di tutto ciò che non si conforma a una visione del mondo destrutturata, frammentaria, nichilistica – vorrebbe inculcare nel pubblico.
Davanti alle opere di Verlato ci si rende conto che quell’oggetto che, appeso alla parete, viene genericamente chiamato “quadro”, è in realtà (un tempo si sarebbe detto così) una “macchina”. E cioè un congegno in cui trompe-l’oeil, finzione scenica, decorazione architettonica avvincono lo spettatore guidandolo in un labirinto narrativo. Certo, i riti e i miti che, in passato, hanno permesso a immagini così imponenti di fare tutt’uno con l’architettura dei luoghi di culto, dei mausolei, dei monumenti alla memoria, potrebbero oggi apparire inattuali. Ma la mostra di Imola è qui a ricordarci che il mito e il rito si riaffacciano continuamente al nostro orizzonte, sotto le spoglie più inattese.
Myth generation è in questo senso un ottimo titolo, perché tiene aperte due vie intepretative, entrambe ugualmente utili per entrare in sintonia con l’opera di Verlato. Vi è cioè una generazione di miti da intendersi in senso anagrafico (potrebbe essere quella di Pier Paolo Pasolini o di James Dean, per citare due archetipi della mitografia di Verlato, o piuttosto un’altra ancora di là da venire); ma vi è anche generazione di miti intesa come processo vitale attraverso cui i miti continuamente si generano e si rigenerano, mescolando sangue e poesia.
La mostra Myth generation, a cura di Diego Galizzi, è aperta dal 26 ottobre 2024 al 19 gennaio 2025 a Imola, Museo di San Domenico. Il catalogo, con testi di Diego Galizzi e Andrea Bruciati e un’intervista a Nicola Verlato, è pubblicato da Imola Musei.
Homepage: Nicola Verlato, Hooligans (particolare), 2002, olio su tela, il totale cm. 150 x 150, Museo Go!-Ronco Arte, Gussago. Sotto: Nicola Verlato, Hostia, 2022, olio su tela, cm. 300 x 175, Fondazione The Bank Ets-Istituto per gli Studi sulla Pittura Contemporanea, Bassano del Grappa.