Skip to content

Attributi del decoro. L’amaranto

image_pdfScarica PDF - Download PDF

di Cesare Ripa, Giovanni Zaratino Castellini

L'amaranto è il quinto attributo che Giovanni Zaratino Castellini assegna all'allegoria del Decoro, nella voce da lui compilata per l'Iconologia di Cesare Ripa. La descrizione punta principalmente sui valori di durevolezza, di eternità, che il fiore di amaranto rappresenta nella tradizione classica. Valori che Castellini propone come antidoto non tanto alle gioie, ai dolori e alle passioni, che si possono incontrare sulla propria strada, ma agli eccessi ora di sottomissione, ora di indifferenza, con cui l'umanità spesso si accosta ad esse, lasciandosene travolgere oppure rifuggendole. Vedi C. Ripa, Iconologia, Eredi di Matteo Florimi, Siena 1613, pp. 174-176. 

L’Amaranto, che nella sinistra mano porta, è fiore che d’ogni tempo fiorisce, mantiene il suo decoro della bellezza, con questo i Greci in Tessaglia incoronavano il sepolcro d’Achille unico lor decoro, per dimostrare, che si come quel fiore mai perisce, così la sua fama saria per sempre durare, sì come dice Antonio Thilesio, nel suo trattato delle corone. Thessali Achillis sui monumentum Amarantho coronabant, ut ostenderent quemadmodum flos ille numquam interit, sic eius famam perpetuo duraturam 〈1〉. È detto Amaranto perché mai marcisce, & se nei tempi aspri del turbolento inverno alquanto viene mancando, rinfrescato con l’acqua baldanzoso torna nel primiero stato, & vigore tanto, che di lui se ne può far corona, ancor d’inverno, sì come dice Plinio libr. 20 cap. 8 〈2〉. Così l’huomo se da gli aspri, e turbolenti casi di questo instabil Mondo offeso viene a mancar d’animo, rinfrescatosi con l’acqua del decoro, cioè riducendosi nella mente quello, che si conviene fare in tali accidenti risorge nel fiorito stato d’animo di prima, & fa corone di lode, & di honori ne torbidi tempi a se stesso, mediante il decoro, però va incoronato, & ricamato d’Amaranto, & tiene il motto interno al fiore, che dice, Sic Floret Decoro Decus 〈3〉. Cioè che l’onore per il decoro fiorisce d’ogni tempo, come l’Amaranto: perché l’huomo si rende forte mediante il decoro, & si mantiene condecentemente in ogni tempo: chi vive con decoro nei tempi buoni, & felici, non si insuperbisce, ne li cattivi, & infelici non si perde vilmente d’animo. Dum secunda fortuna arridet superbire noli, adversa perstrepente noli frangi disse Cleobolo Filosofo 〈4〉, mentre la prospera fortuna ti favorisce non ti volere insuperbire, facendo fracasso la perversa fortuna, non ti volere sbigottire, e rompere: ma ciò non può volere chi si governa senza decoro, che fà l’uomo forte, & magnanimo: come Scipione Africano, il quale mai s’insuperbì ancorché vittorioso per la prosperità della fortuna, né per per l’aversa si perdé d’animo, né è maraviglia se questo honesto, & generoso Capitan Romano, non tanto per lo valor suo, quanto per il decoro de buoni, & honesti costumi viene in quel dialogo di Luciano, da Minos giusto giudice giudicato degno di precedere ad Alessandro il Magno, & ad Annibale Cartaginese Capitani molto altieri, superbi, iracondi, inconstanti, & poco honesti, senza decoro d’animo veramente forte, & magnanimo 〈5〉. Et questo è quello, che volse inferire M. Tullio nel primo degli offitij. Omnino fortis animus, et magnus duabus rebus maxime cernitur, quarum una in rerum externarum despicientia ponitur cum persuasum sit nihil hominem nisi, quod Honestum decorumque; sit, aut ad mirari, aut optare; aut expetere oportere, nullique neque homini neque perturbationi animi, nec fortuna succumbere 〈6〉. Dal che si raccoglie, che uno, che sia veramente huomo non appetisce se non l’honesto conforme al decoro, & per tal conto, come di grande, & forte animo non cede a le perturbationi, & alli colpi di fortuna. Onde più abbasso volendo Tullio ragionare del Decoro, essorta, che nelle cose prospere, & ne gli avvenimenti, che succedono secondo il nostro volere grandemente si fugga la superbia, e l’arroganza impercioche il portarsi immoderatamente ne le cose avverse, & ne le favorevoli è segno di leggierezza, da la quale è lontano il decoro perché il decoro contiene in sé una honestà, temperanza, modestia, & ogni moderatione di perturbatione d’animo: moderatione dico perché l’huomo si può senza biasmo perturbare, mà moderatamente, che se bene la mente sua viene alle volte in parte commossa da qualche moto, & perturbatione d’animo, non per questo perde il decoro, conveniente ad huomo savio. Sapiens non omnino perturbationibus vacat, verum perturbatur modice secondo Arist. in Laert 〈7〉. Anzi è cosa propria da huomo il dolersi, & rallegrarsi, il non dolersi, & non rallegrarsi, è cosa da uno stipite, ò sasso. Non dolere stipitis est, non hominis 〈8〉. Disse S. Agostino lib. 4. cap. 9. De Civitate Dei, & Plinio secondo nel lib. 8 dell’Epistole scrive a Paterno addolorato della morte de suoi figlioli, ove non tiene per huomini grandi, & savij quelli, che si reputano d’esser savij, & grandi col riputare simili casi un leggier danno, anzi non li reputa huomini così dicendo. Qui an magni sapientesque sint nescio, homines non sunt, hominis est enim affici dolore, sentire, resistere tamen, & solatia admittere, non solatijs non egere 〈9〉. È dunque cosa da huomo, dar luogo al dolore, & all’allegrezza, ne ci sia contraria la durezza di Socrate, che mai mostrò segno di tristezza, & d’allegrezza, ne la severità d’Anassagora, & d’Aristossene, che mai risero, perché questi eccederono il termine del dovere, tanto merita biasimo chi niente si duole ò rallegra, quanto quello, che troppo, ogni estremo è vitioso come il continuo riso di Democrito, & il continuo pianto di Heraclito, il decoro ci mette per la via di mezzo, & ci mostra quello che comporta il dovere, l’honesto, & il conveniente: conveniente è che nelle cose publiche, & private de parenti, patroni, & amici prendiamo allegrezza, ò tristezza, piacere, ò dispiacere secondo li casi, che alla giornata occorrono, & che ne facciamo dimostrazione esteriore di congratulatione, ò condoglienza: mà come detto habbiamo nelli nostri affetti, & motti d’animo, dobbiamo rallegrarci con la moderata Honestà, & convenienza del decoro, in tal maniera la virtù dell’animo, si vedrà sempre fiorita d’ogni tempo come l’Amaranto.

〈1〉 «I Tessali coronavano di amaranto il sepolcro di Achille, per mostrare che, così come il fiore non appassisce, anche la sua fama era destinata a durare in eterno». A. Telesio, De Coronis, Francesco Minizio Calvo, Roma 1525 [ndr].

〈2〉 Castellini si riferisce alla Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, dove però il luogo esatto non è XX, 8 ma XXI, 23 [ndr].

〈3〉 Sic Floret Decoro Decus: «Così la bellezza rifulge per decoro». Il motto latino coniato da Castellini avrà la sua consacrazione nella Cappella Sansevero di Napoli, rinnovata a metà secolo XVIII su commissione del principe Raimondo di Sangro, grande estimatore dell'Iconologia di Cesare Ripa, e precisamente nella statua del Decoro scolpita nel 1750-51 da Antonio Corradini, dove appare nel tronco di colonna cui la figura allegorica si appoggia [ndr].

〈4〉 «Non insuperbirti quando la fortuna ti arride, non scoraggiarti quando ti assale con violenza la sventura». Castellini cita dalla Vita di Cleobulo inclusa in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, I. Cleobulo di Lindo (sec. VI a.C.) è ricordato come uno dei Sette Savi dell'antica Grecia [ndr].

〈5〉 Castellini si riferisce al dialogo tra Alessandro, Annibale, Minosse e Scipione, incluso nei Dialoghi dei morti di Luciano di Samosata [ndr].

〈6〉 «La fortezza e la grandezza dell'animo si manifestano principalmente in due modi: l'uno consiste nel disprezzo dei beni esteriori, posto il principio che l'uomo non deve né ricercare né desiderare né ammirare cosa alcuna che non sia onesta e decorosa, e non deve sottostere né ad alcun uomo, né ad alcuna passione, né ad alcun evento di fortuna». Marcus Tullius Cicero, De Officiis, liber I, 66 [ndr].

〈7〉 «Il saggio non è affatto insensibile, semmai è sensibile nella giusta misura». Castellini cita dalla Vita di Aristotele inclusa in Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, V [ndr].

〈8〉 «Non avvertire dolore si addice a un pezzo di legno, non a un uomo» [ndr].

〈9〉 «Saggi non so se lo sono, uomini no di certo, giacché è umano essere scossi dal dolore, sentirlo, sapervi tuttavia resistere e ricevere consolazioni, non già non aver bisogno di consolazioni». Gaius Plinius Caecilius Secundus, Epistulae, liber VIII, 16 [ndr].

Homepage: "Decoro", elaborazione grafica dalla tavola illustrante il libro di C. Ripa "Iconologia", Tomasini, Venezia 1645. 
Sotto: riproduzione delle pagine 174-176 del libro di Cesare Ripa "Iconologia", Eredi di Matteo Florimi, Siena 1613.(www.archive.org).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *