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AV Mediopadana, una stazione d’autore?

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di Augusto Giuffredi, Enrico Maria Davoli

Qualunque opera architettonica dovrebbe rispondere, quale che sia la destinazione d’uso, ad alcuni requisiti progettuali non negoziabili: funzionalità, adattabilità alle diverse condizioni metereologiche, protezione dalle intemperie, costi proporzionati alla funzione da assolvere, spese di manutenzione e gestione contenute. Il tutto, espresso in forme consistenti e decorose, facilmente decodificabili dall’utente. Ciò vale a maggior ragione per gli edifici con valenze simboliche e rappresentative di qualche rilievo e, in particolare, per quelli pubblici.

La stazione ferroviaria AV Mediopadana di Reggio Emilia rappresenta, a detta della committenza e degli enti locali, un’immagine-simbolo della città 〈1〉. Progettata (ma, come vedremo, sarebbe più corretto dire “firmata”) da Santiago Calatrava, essa forma idealmente un tutt’uno col vicino sistema viario imperniato su tre ponti, anch’essi a firma dell’architetto spagnolo.

Esternamente, la stazione si caratterizza per un profilo ondulato, affidato a una lunga sequenza di nervature metalliche scatolari sagomate in forma di portale, dell’altezza media di 20 metri. Esse sono posizionate alla distanza di un metro l’una dall’altra, in una successione di curve e controcurve alternativamente più alte e più basse, più larghe e più strette. La struttura modulare così composta, a coprire quattro binari di cui i due più esterni destinati alla salita e alla discesa dei passeggeri, si snoda in direzione est-ovest, sulla tratta ferroviaria AV Milano-Bologna, per una lunghezza totale di quasi 500 metri. Essa ha subito presentato diverse criticità, resesi via via più evidenti col trascorrere del tempo. A prescindere dall’impatto estetico e percettivo, di una certa suggestione per chi guarda l’edificio dall’area parcheggi o transitando sulla vicina autostrada, emerge una serie di anomalie connaturate al progetto. Eccone qualche esempio.

Esterno della stazione Mediopadana sul lato parcheggi con, in primo piano, uno dei rialzi con dissuasori antiseduta installati dopo l’inaugurazione (www.24emilia.com).

Al momento dell’inaugurazione, ci si rese conto che le estremità delle nervature iscritte nella curva inferiore del movimento a fisarmonica terminavano così vicino al suolo (circa 180 centimetri nel punto più basso) da rappresentare un serio pericolo per l’incolumità di chi entrava e usciva dalla stazione. Per scongiurare il rischio di infortuni alla testa dei passanti, si dovettero costruire rialzi contornati da dissuasori anti-seduta, tali da impedire il passaggio in prossimità dell’ostacolo.

L’atrio che, in mancanza di altri luoghi deputati, dovrebbe espletare anche la funzione di sala d’aspetto, ha due grandi accessi in linea orientati sulla direttrice nord-sud, perpendicolarmente rispetto ai binari posti al livello superiore e alla parallela autostrada A1. Il traffico autostradale crea un potente “effetto camino”, ossia uno spostamento d’aria che fa di questo ambiente, quando la stagione è fredda, la zona più inospitale della stazione. Trattenersi all’aperto o aspettare nei due piccoli bar posti a piano terra, è spesso una scelta obbligata.

a) Gradini di una scalinata d’accesso ai binari. b) Dettaglio dell’alzata di un gradino con griglia aperta per la manutenzione (photo credits Augusto Giuffredi).

La salita ai binari avviene tramite scale, scale mobili e, fino a poco tempo fa, un solo ascensore per ognuna delle due banchine di partenza. Le scale pedonabili hanno un’alzata illuminata protetta da una griglia: un sistema aperto che diventa un ricettacolo di polveri e batteri di ogni tipo. La manutenzione del sistema illuminante può essere effettuata solo svitando uno ad uno, con apposite brugole, i pannelli metallici. 

La capienza dei due ascensori, di forma cilindrica, non supera le quattro persone con bagaglio al seguito. L’inadeguatezza di questo sistema di salita e discesa si è palesata in occasione di un’urgenza medica verificatasi su un treno in movimento. Un passeggero colto da malore è stato fatto scendere per un intervento medico d’urgenza, comportante un trasporto in ambulanza. Constatato che le dimensioni dell’ascensore non permettevano il passaggio di una barella, i sanitari si sono visti costretti a utilizzare le scale. Si è successivamente proceduto a installare due nuovi ascensori rispondenti alle normative, per ciascuno dei due binari 〈2〉.

a) Uno dei due ascensori attualmente in funzione, b) uno degli ascensori a norma aggiunti e non ancora funzionanti, fotografati al livello dei binari (photo credits Augusto Giuffredi).

Durante la notte, in assenza di treni utili, la stazione è fuori servizio, ma in origine nessun sistema di chiusura era stato previsto per impedire l’accesso ai binari. Per ovviare al problema si è fatto ricorso a uno sbarramento programmato per chiudersi automaticamente, dopo l’arrivo dell’ultimo treno della giornata. È avvenuto così che i passeggeri appena scesi dal convoglio transitato in ritardo abbiano trovato le uscite sbarrate, con le conseguenze tragicomiche che si possono immaginare. Inoltre, i marciapiedi d’accesso ai treni presentano solo pochissime sedute, posizionate alle estremità dello spazio utile, con evidente disagio per chi ha difficoltà a restare in piedi a lungo.

Uno dei problemi più seri della stazione (così come dei ponti già citati) sta nella difficoltà delle operazioni di manutenzione indispensabili. In una normale giornata di pioggia, la copertura a vetri mostra evidenti limiti di tenuta e, in corrispondenza dei punti più bassi, lascia entrare acqua all’interno. Revisionare le lastre di vetro avrebbe costi notevoli, e comunque non sarebbe risolutivo, visto che la progettazione è errata in sé. In caso di temporali con pioggia e vento, l’acqua cade su buona parte delle banchine e, poiché la parte centrale della volta presenta ampie aperture, la pioggia sospinta dalla raffiche cade abbondante anche dove stazionano i viaggiatori in attesa.

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a) Un’immagine della banchina allagata. b) Perdita d’acqua piovana da uno dei tubi di scarico che attraversano la volta (photo credits Augusto Giuffredi).

Uguali e contrarie sono le problematiche legate alle giornate di sole. Nei mesi estivi, l’involucro in vetro, privo di ombreggiature e attraversato come una lente dalla luce solare, crea (com’era facile prevedere) un effetto-serra che spinge la temperatura interna a livelli allarmanti.

Già ora, a pochi anni dall’inaugurazione, la struttura scatolare delle grandi nervature metalliche presenta segni di ruggine. Il problema nasce dal fatto che, nelle strutture scatolari, la metà interna della superficie totale, non raggiungibile né ispezionabile, è soggetta a quotidiani fenomeni di condensa. L’unica protezione dagli effetti dell’ossidazione è nella stesura – da ripetersi periodicamente anche nel caso di superfici zincate – di apposite vernici isolanti. Già molto difficile sulle superfici esterne, per la complicata configurazione del manufatto, l’operazione diventa impossibile all’interno, se non ricorrendo a stratagemmi onerosi e comunque non risolutivi. Non occorre essere profeti per pronosticare, nel giro di mezzo secolo, seri problemi, anche di carattere strutturale.

La tentazione di confrontare questa copertura con quelle della Galleria Vittorio Emanuele (1865-78) e della Stazione Centrale (1925-31) di Milano, efficientissime nonostante l’anzianità di servizio, è forte. Ma vi sono altri dati che fanno riflettere. Basti pensare che, secondo i calcoli, il peso totale dell’acciaio impiegato per la Stazione AV Mediopadana è pari, stando alle informazioni ufficiali, «a circa 14.000 tonnellate, quasi una volta e mezza la Tour Eiffel» 〈3〉. Si pensi che la torre parigina inaugurata nel 1889 si erge a 320 metri d’altezza. Siamo di fronte a un’esibizione di forza che, fingendo di sottrarsi alla retorica tardoottocentesca, in realtà ne è schiacciata, senza nemmeno avvicinarne le sfide formali e tecnologiche.

a) Giunzione tra parapetto e nervature metalliche all’altezza della banchina d’imbarco. b) Un tratto delle vetrate ascendenti col consueto deposito di polvere e smog (photo credits Augusto Giuffredi).

Sommandosi tra loro, le varie lacune progettuali minano anche la tenuta estetica complessiva del manufatto. Ad esempio, nella giunzione mal congegnata tra il parapetto delle banchine e le nervature metalliche, si formano accumuli di polvere e cicche di sigarette praticamente inamovibili. Le maggiori problematiche in tema di pulizia riguardano, una volta di più, le superfici vetrate. Dato l’altissimo costo degli interventi di pulitura occorrenti sia all’esterno che all’interno e – vista la conformazione dell’edificio – fattibili solo con cestelli sospesi a bracci meccanici, le vetrate sono sempre sporche. Il che significa, tra l’altro, che l’effetto-trasparenza che dovrebbe caratterizzare esteticamente il luogo, è in gran parte alterato.

Anche il motivo a curve e controcurve, che rappresenta la nota saliente del manufatto in termini di composizione architettonica, a un esame attento risulta poco convincente. Quello che a un primo sguardo appare un futuristico omaggio alla velocità e al dinamismo, è in realtà la riproposizione a freddo, parassitaria, di uno degli stilemi più ingegnosi dell’edilizia popolare mediterranea. Stilema poi assunto, a poco a poco, nell’architettura d’autore. L’esempio più illustre si deve a un famoso connazionale di Calatrava, Antoni Gaudì, che nella scuola per i figli degli operai costruita nel 1909 accanto al cantiere della Sagrada Familia di Barcellona impiegò, tanto per le pareti che per la copertura, una tessitura ondulata che, con le sue curvature alternate, conferiva particolare resistenza a un manufatto laterizio umile, addirittura povero, dandogli una connotazione calda e avvolgente 〈4〉. Autoportanti, completamente dissociate l’una dall’altra, le nervature metalliche di Calatrava sono una simulazione esteriore, totalmente immotivata, di quei nessi logici, e la copertura in vetro ne sottolinea l’artificiosità.

a) Veduta della stazione AV Mediopadana con l’area parcheggi e, sullo sfondo, i tre ponti progettati anch’essi da Santiago Calatrava (www.skyscrapercity.com). b) La scuola per i figli degli operai della Sagrada Familia costruita su progetto di Antoni Gaudí nel 1909 (photo credits Pep Daude).

La stazione Alta Velocità è raggiungibile dal centro città con autobus e con una linea ferroviaria locale (la Reggio Emilia-Guastalla) che parte dalla vecchia stazione cittadina. Situata al piano terra della stazione AV, la banchina di arrivo del treno locale era inizialmente conformata in modo tale che, aprendosi, le porte delle carrozze facevano attrito su di essa, e ai controllori non restava che chiuderle spingendole a forza. Per evitare il ridicolo, il problema è stato risolto modificando la banchina.

A rendere inospitali i dintorni contribuisce non poco la situazione dei due parcheggi, entrambi a pagamento. Quello più interno esibisce tariffe da aeroporto, mentre l’altro, gratuito fino a qualche tempo fa, dissuade comunque buona parte degli utenti. Molti preferiscono il taxi, più economico, o parcheggiare nella non lontana area fieristica, per recarsi in stazione a piedi. Sennonché, la pista pedonale si interrompe in corrispondenza di una rotonda, e per arrivare a destinazione non c’è che il bordo carreggiata.

Chi usa l’auto per prelevare le persone appena scese dal treno deve transitare attraverso due passaggi a sbarre, ritirando un biglietto che autorizza una sosta di trenta minuti e va reso all’uscita, anch’essa chiusa da sbarre. L’area di attesa è molto ristretta; con tanto spazio utile, i posti disponibili per le soste brevi potevano almeno essere raddoppiati.

Uno scorcio della stazione AV Mediopadana all’altezza dell’incrocio con la ferrovia locale Reggio Emilia-Guastalla (Wikimedia/Daniele Valtorta).

Il messaggio generale trasmesso da questa struttura è che spetta all’uomo adattarsi all’architettura, e non viceversa. Non è azzardato affermare che, con l’importo complessivo dell’opera, sarebbe stato possibile costruire non una, ma due stazioni qualitativamente superiori a quella odierna. Non sarebbero certo mancati gli architetti – forse meno celebri ma sicuramente all’altezza – capaci di soluzioni progettuali in linea con la grande tradizione costruttiva italiana.

Tanto nella stazione Mediopadana, quanto nell’urbanistica circostante, emergono tutti i limiti connessi al culto della personalità che oggi viene tributato alle cosiddette “archistar”. Pur di avere quel nome, quella firma, la committenza si assoggetta non solo al pagamento di compensi principeschi, ma anche allo sviluppo e alla messa in opera di idee poco più che abbozzate (nel gergo degli addetti ai lavori: concept ). Idee della cui effettiva realizzabilità poco o nulla è dato sapere, perché la loro principale, se non unica, ragion d’essere sta nell’offrire il segno di riconoscimento, la griffe, di quel nome, di quella firma.

La catena di comando formata da consulenti, studi associati, ingegneri, direttori dei lavori, aziende, che trasforma l’idea in progetto e il progetto in manufatto, è spersonalizzata e spesso del tutto indifferente al bilancio costi-benefici 〈5〉. Suo principale intendimento è non compromettere, con modifiche troppo legate al senso di realtà, la riconoscibilità del manufatto immaginato (quasi sempre puramente immaginato) dalla grande firma. E dunque quella catena diventa una catena di Sant’Antonio, di cui nessuno vuole conoscere l’inizio e la fine. Coloro che, per conto della committenza e della comunità dei cittadini, dovrebbero esprimersi sulla plausibilità del manufatto, rilasciando autorizzazioni e nulla osta, difficilmente osano sottrarsi ai cori di approvazione. La globalizzazione da un lato e, dall’altro, il timore, tipicamente provinciale, di non mostrarsi all’altezza dei presunti standard internazionali, convergono nella scelta di dare pieni poteri a figure artisticamente e culturalmente opache, la cui riconoscibilità è tanto più immediata quanto più stereotipate e generiche sono, ovunque nel mondo, le loro proposte.

〈1〉 La frase citata di seguito, tratta dal sito Km 129 - Reggio Emilia Territorio Esteso, descrive il ruolo che, ad avviso dell'amministrazione locale, le opere di Santiago Calatrava presenti a Reggio rivestono nell'immaginario collettivo: «Le opere dell'architetto Santiago Calatrava per la città di Reggio Emilia sono segni di riconoscimento della città, oggetto di visite da parte di curiosi e turisti.» Committente dell'opera fu la Società TAV (Treno Alta Velocità) S.p.A., del Gruppo Ferrovie dello Stato. Aggiudicata alla Cimolai S.p.A. di Pordenone, la stazione fu realizzata a partire dal 2008 e ufficialmente inaugurata l'8 giugno 2013, nell'ambito della linea ferroviaria riservata ai convogli superveloci che, sulla tratta Torino-Milano-Bologna-Roma-Napoli, si affianca alla linea  ferroviaria tradizionale. Per ogni altra informazione sugli aspetti architettonici, tecnologici e finanziari di questa e delle altre opere di Santiago Calatrava a Reggio Emilia, si consulti il sito già citato al link http://www.km129.it

〈2Allo stato attuale gli ascensori non sono ancora in funzione. 

〈3〉 Vedi il sito già citato, al link http://www.km129.it/Sezione.jsp?idSezione=434 〈4〉 Vedi C. Flores, Les lliçons de Gaudí, Empúries, Barcelona 2002.

〈5〉 Nelle opere di Calatrava, le manutenzioni difficoltose e gli aggiustamenti ex post, congiunti a leggerezze progettuali e a una sensibile lievitazione dei costi, sono una costante: si pensi al Ponte della Costituzione di Venezia, nei cui riguardi l'autorità giudiziaria, pur disponendo l'archiviazione dell'inchiesta, ha espresso un giudizio severissimo. Vedi l'articolo Ponte Calatrava, incapaci e cinici, in "La Nuova Venezia", 12/3/2010, https://ricerca.gelocal.it/nuovavenezia/archivio/nuovavenezia/2010/03/12/VM1PO_VM101.html

Homepage: uno scorcio dell'interno della stazione AV Mediopadana (Wikimedia/Lalupa). Sotto: due immagini della banchina allagata (photo credits Augusto Giuffredi).
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