L’aneddoto vitruviano relativo alle origini del capitello corinzio 〈1〉 offre spunti di riflessione accessibili anche ai non specialisti di antichità classica. Vitruvio, cittadino romano contemporaneo di Giulio Cesare e di suo figlio adottivo Ottaviano Augusto, lavora agli ordini di entrambi come costruttore di macchine da guerra, architetto, ingegnere. Una veste non troppo diversa da quella in cui, millecinquecento anni più tardi, Leonardo da Vinci servirà il duca Ludovico il Moro. Vitruvio è uomo pratico, un professionista, e gli architetti rinascimentali attingeranno con fiducia al suo trattato, quasi lo avesse scritto un fratello maggiore.
Molto di ciò che Vitruvio scrive deriva dalla cultura greca, e tanti sono i nodi che egli affronta reinventandosi in latino, come possibile, parole e concetti estranei o poco noti 〈2〉. Quando Vitruvio parla del capitello corinzio sa bene che i suoi colti lettori, a partire dall’imperatore Augusto, sapranno attribuire il giusto senso alla vicenda di Callimaco commosso davanti alla tomba di una fanciulla 〈3〉. Quale senso? Quello di una storia esemplare, una glorificazione della figura dell’artista. Analogamente, la storia dell’arrivo di Enea nel Lazio cantata da Virgilio nell’Eneide serve a glorificare Augusto, che si vanta di discendere dal mitico eroe troiano.
Si consideri poi che Vitruvio, morto pochi anni prima della nascita di Cristo, parlando di Callimaco si riferisce ad eventi risalenti a quattro secoli prima, più o meno come accade oggi parlando di un Caravaggio. Callimaco è insomma per Vitruvio l’orizzonte ultimo raggiungibile nella rincorsa alle origini dell’ordine corinzio, origini comunque “storiche” se si pensa che gli altri due fondamentali ordini classici, dorico e ionico, si perdono nella notte dei tempi e ad essi non è associabile nessun personaggio realmente vissuto.
Rileggiamo la frase iniziale del racconto: “la prima invenzione di quel capitello ha questa tradizione” (in latino: eius autem capituli prima inventio sic memoratur esse facta). Innanzitutto la parola inventio, “invenzione”. Essa deriva dal verbo invenio, “trovare”, il che dice molto sul suo reale significato. E cioè: si trova qualcosa perché la si sta cercando, ed anche quando sembra che la si sia trovata per caso, è perché si sono tenuti gli occhi ben aperti. Non si trova (o non si scopre o non si inventa) nulla che non vi sia già. L’oratore trova le parole e le perifrasi più adatte, l’artista trova le immagini e gli schemi compositivi opportuni, perché sia l’uno che l’altro conoscono a fondo il repertorio a cui attingere. La bravura di chi inventa non sta nel fare apparire “strano” o “nuovo” l’oggetto trovato, ma nel riadattarlo ogni volta al suo nuovo compito.
Ancora: Vitruvio scrive memoratur esse facta , dove memoratur sta per “si ricorda”, “si tramanda”. Che non ha nulla a che fare con un “sembra” o un “si dice” (traditur). Insomma Vitruvio non avanza un’ipotesi o un’illazione qualsiasi, ma la versione ritenuta “memorabile”: una versione rituale forse, ma né arbitraria né infantile.
Quando gli antichi raccontano aneddoti storici si appoggiano al sedimento primario, il più duro e resistente, della loro conoscenza del passato. Considerare tutto ciò solo un modo per edulcorare la realtà o, peggio, una falsificazione ingenua, significa non comprendere le dinamiche delle culture tradizionali, ancora imbevute di contenuti orali e fermamente determinate a trovare un “inizio”, sia pure convenzionale, per tutte le cose.
〈1〉 Vedi, su questa stessa rivista, Vitruvio, Origine del capitello corinzio, 9 maggio 2013 (http://www.faredecorazione.it/?p=2234). 〈2〉 Sulla vita e l'opera di Vitruvio, incluso il fondamentale problema dell'incontro con la lingua e la cultura greca, si vedano l'introduzione di S. Maggi e il commento di S. Ferri a Vitruvio, Architettura, Milano, Rizzoli, 2002. 〈3〉 Callimaco (attivo nell'ultimo quarto del secolo V a.C.) è ricordato da Pausania e Plinio il Vecchio come scultore, architetto e autore di apparati decorativi. Gli sono attribuite varie opere, tra cui la Stele di Egeso (Atene, Museo Archeologico Nazionale). In alto: Veduta di Corinto dall'antica acropoli della città, l'Acrocorinto, maggio 2019 (foto Jean Housen/Wikimedia Commons). Sotto: L'invenzione del capitello corinzio, tavola a bulino tratta da R. Fréart de Chambray, Paralléle de l'architecture antique avec la moderne, Parigi, 1650.