The Grammar of the Lotus (sottotitolo: a New History of Classic Ornament as a Development of Sun Worship), pubblicato a Londra nel 1891, è un libro curiosissimo, il cui titolo riprende la Grammar of Ornament di Owen Jones (1856). Evidentemente, gli studiosi ottocenteschi avevano chiaro che l’universo della decorazione si strutturava secondo leggi precise, quasi come una lingua dotata di una grammatica e di una sintassi. L’autore della Grammar of the Lotus, l’archeologo e storico dell’arte americano William Henry Goodyear (1846-1923), elabora una suggestiva teoria: secondo lui, tutto il patrimonio dell’ornatistica antica altro non sarebbe che una ininterrotta rielaborazione di un solo motivo, la pianta di loto.
Attraverso stilizzazioni che agiscono ora sul calice ora sulle foglie, ora sulla visione dall’alto ora su quella di profilo, Goodyear fa risalire l’intero albero genealogico delle famiglie ornatistiche classiche – dalle rosette alle croci alle svastiche alle volute ai meandri – alle trasformazioni e reinterpretazioni della stessa immagine. Pianta diffusa in tutto il vecchio mondo e, soprattutto in Egitto, connotata come simbolo solare, il loto prende troppo la mano a Goodyear, tradendone la fede positivista. Ma se le sue tesi hanno perso credibilità dal punto di vista scientifico ed archeologico, restano comunque istruttive per chi, la decorazione, la fa. Facendogli toccare con mano come, alla fin fine, non sempre sia possibile battezzare quella foglia, quel petalo o quello stelo in un modo o in un altro. Acanto, loto, papiro, edera e tanti altri nomi di piante, animali o cose non sono che gli pseudonimi, i testimoni compiacenti alla cui ombra, nelle diverse civiltà e latitudini, l’arte della decorazione vive. The Grammar of the Lotus può essere consultato e scaricato a questo link: http://archive.org/details/grammaroflotusne00gooduoft .
In alto: Wilford S. Conrow, Ritratto di William Henry Goodyear, 1916, olio su tela, New York, Brooklyn Museum. Sotto: il frontespizio del libro.