di Antonia Tafuri, Roberta De Martino
L’11 giugno 1971 un cospicuo numero di opere realizzate dall’artista Karl Wilhelm Diefenbach (Hadamar 1851 – Capri 1913) fu donato dagli eredi di quest’ultimo allo stato italiano. Trentuno dipinti (trenta di Diefenbach e uno di Ettore Ximenes, che ritrae l’artista tedesco) e cinque sculture in gesso trovarono degna collocazione nella Certosa di San Giacomo, grazie alla volontà di Raffaello Causa, allora Soprintendente ai Beni Storici della Campania. Egli comprese la grandezza di Diefenbach, in qualità non solo di artista, ma anche di riformatore della vita, definendolo un «artista autentico intenso e lucidissimo» 〈1〉. Il 12 settembre 1974 fu ufficialmente aperto al pubblico il Museo Diefenbach, un nuovo museo «nazionale ed il primo, in assoluto, dedicato interamente all’artista tedesco, riformista, pacifista, libero pensatore, simbolista, adoratore del sole, teosofo. Fu un personaggio sui generis per il suo modo di intendere ed affrontare la vita, per l’essere contro e fuori dalle regole. «Ergendosi a “pioniere dell’umanità”, esprimeva nelle sue creazioni artistiche le idee da lui predicate» 〈2〉. Come lui stesso scriveva: «Io considero l’arte come una religione che deve innalzare gli spiriti al bello e al bene… Lo scopo dell’arte deve essere esclusivamente morale” 〈3〉.
Definito spesso come un pittore visionario, egli non intendeva essere solo un paesaggista, ma considerava l’arte come una predica: «L’artista deve servirsi della sua arte come mezzo espressivo delle sue idee, come educatore che conduce l’umanità dalla terra al Paradiso. Cerco di raggiungere questo nella mia arte con tutte le forze. Ogni mio quadro è una predica» 〈4〉. Le tendenze della sua missione quale uomo e quale artista sono l’affrancamento dell’umanità dalle mille miserie dell’epoca, la «redenzione di una coltura informata al più eccelso umanesimo divino, liberata da errori e menzogne e basata sulle sicure fondamenta delle leggi di natura» 〈5〉.
Seguendo i principi fondamentali della Lebensreform (“Riforma della vita”, il movimento naturista che ebbe tra i suoi adepti Rudolf Steiner e Herman Hesse), Diefenbach decise di abbandonare ogni lusso, scelse di indossare una lunga tunica bianca e sandali ai piedi e cominciò a predicare in pubblico la pace, l’amore, la fratellanza universale, il ritorno alla natura, in pieno contrasto con la società tedesca di età guglielmina, tesa all’industrializzazione e al riarmo.
Giunto a Capri nel dicembre del 1899, dopo un lungo viaggio che dalle Alpi lo aveva portato prima in Egitto e poi a Trieste, decise di vivere sull’isola fino alla morte, avvenuta nel 1913: «Scelsi Capri per fondare su questa meravigliosa isola con tutte le mie forze una nuova esistenza che mi potesse offrire quella pace così tanto desiderata…» 〈6〉.
Ǫui egli aveva trovato la sua dimensione ideale, abbagliato dal miraggio di una nuova norma di vita, primitiva, libera dalle tante convenzioni della società borghese. L’isola, con la sua natura pervasa da un forte senso cosmico, si era rivelata un’inesauribile fonte di ispirazione e i tredici anni di permanenza furono densissimi per la sua attività creativa, con lo sviluppo di una nuova pittura di grande impatto emotivo, basata sul colore modellato in rilievo con l’aggiunta di ulteriori materiali. «Capri mi basterà per tutta la vita con queste aspre rupi che io adoro, con questo mare tremendo e bellissimo…» 〈7〉.
Nel periodo caprese il Maestro si cimentò anche come scultore, realizzando alcune opere in gesso: i busti dei genitori, l’autoritratto e due statue di efebi a figura intera.
Nei ritratti a mezzo busto di suo padre, Leonhard Diefenbach, e di sua madre, Therese Wolfermann, si nota una minuziosa cura dei tratti espressivi ed una delicata finezza del modellato. Le opere, esposte nella Casa Grande (così veniva chiamata l’abitazione-atelier in cui Diefenbach visse a partire dal 1906, situata a pochi passi dalla Piazzetta), dovevano avere per l’artista un particolare valore consolatorio. Nel busto-autoritratto Diefenbach si ritrae da giovane, a torso nudo, rispecchiando i suoi ideali di vita attraverso un modellato più realistico.
Nelle statue a figura intera raffiguranti due Efebi, il Maestro riprende l’ideale estetico classico, secondo il quale la grazia naturale di un corpo umano nudo è la più alta espressione di bellezza. Nella postura bilanciata dei corpi appare evidente la ricerca di equilibrio, perfezione ed armonia. Tali creazioni sono caratterizzate da un classicismo formale di intensa idealizzazione, mirando a ritrovare, dunque, la compostezza e la rigorosa plasticità dei classici, e testimoniando un’educazione fondata soprattutto sul disegno e lo studio della scultura classica, appresa durante il periodo di formazione presso l’Accademia di Belle Arti di Monaco 〈8〉, come testimonia l’iscrizione ACAD-DFNBCH posta alla base di entrambe le sculture.
Il primo efebo è ritratto con le braccia aperte verso l’alto. La mano destra doveva impugnare una palma, come testimonia la figura già disegnata sulla copertina del catalogo dell’esposizione Diefenbach di Trieste del 1899 〈9〉. La silhouette del giovane fanciullo, infatti, è raffigurata su una roccia, nell’atto di sorreggere con la mano destra una palma. Sullo sfondo il mare, due imbarcazioni e il sole.
L’artista ha rappresentato spesso la palma, attribuendole un importante valore simbolico, che va ben oltre il significato cristiano. La sacralità della palma ha origini antiche. Nella mitologia greca essa è una pianta solare, in quanto è sacra ad Apollo. Nei temi profani la mitica figura della Vittoria compare in atto di consegnare al vincitore un ramo di palma. Essa era considerata un elemento di collegamento tra il terreno e il divino. La palma è anche il simbolo dell’unione di maschile e femminile: il tronco richiama il fallo, mentre le foglie e i suoi frutti sono la femminilità. Nella palma Sole, Luna e Fuoco sono connessi: i raggi ricordano la stella del giorno, le foglie il ciclo lunare, il fuoco per essere stata messa in relazione con il mitico uccello che risorge dalle sue ceneri, l’araba fenice, in quanto dopo un incendio è la prima pianta ad essere in grado di “rivegetare”. La palma diventa il simbolo di Cristo che vince la morte, della vittoria sul peccato e del trionfo della pace 〈10〉.
Il pittore era giunto a Trieste nel febbraio 1899, «spogliato di tutti i mezzi necessari a sostenere la sua esistenza; caduto in concorso dei creditori con ogni suo avere e con molti dipinti; sloggiato forzatamente senza veruna possibilità di procacciarsi un’altra abitazione; incatenato dalla curatela pronunziata provvisoriamente contro di lui, ed in pericolo di perdere la propria libertà personale ed i figli carissimi; evitato dalla società “colta”; perseguitato dalle autorità; deriso dalla stampa; insultato e bersagliato dalla plebe stradaiuola – vergognoso quadro dal vero dello spirito umanitario ed artistico di Vienna! – Diefenbach abbandonò la Nuova Babele e giunse, privo di mezzi, a Trieste, per fare da qui il tragitto verso un remoto asilo, dove finalmente poter trovare ristoro ai suoi patimenti e quiete per creare nuove opere. Egli è come un naufrago gettato alla spiaggia e che non ha salvato altro che la propria vita! » 〈11〉.
Ǫui, nell’estremo lembo dell’Impero austriaco, l’artista portò con sé i suoi figli, il giovane allievo Paul von Spaun e Mina Vogler, sua infermiera e segretaria personale. A Trieste, nonostante la diffamazione diffusa dalla stampa viennese, riuscì a conquistare il rispetto della città e dei cittadini grazie alle sue opere. Il Circolo Artistico di Trieste lo sostenne e gli permise di usare la grande sala della Vecchia Borsa come atelier e luogo di esposizione. Ǫui, con l’aiuto di Paul von Spaun, Diefenbach cercò di trasferire l’ultima mostra tenuta nella capitale austriaca, che fu inaugurata l’11 marzo 1899 e riscosse successo, inducendolo a restare a Trieste fino all’autunno di quell’anno. Così nelle sue opere, le tragiche allegorie del duro suo destino stanno accanto alla dolce poesia della vita infantile di una umanità ringiovanita nel suo spirito.
L’efebo raffigurato nell’atto di sorreggere una palma ritorna in un particolare del fregio Per aspera ad astra, la creazione più significativa dell’artista tedesco, considerata il manifesto della Lebensreform, il suo testamento spirituale. Infatti, nel testo poetico che accompagnava la rappresentazione delle silhouettes, l’artista descrisse la “favola della vita”, il suo personale credo nella speranza di raggiungere la tanto desiderata Sonnenland (“terra del sole”). Già dal sottotitolo Meines Lebens Traum und Bild (“l’immagine e il sogno della mia vita”), appare chiaro che l’opera doveva rappresentare anche la storia della vita del Maestro stesso, l’autobiografia di un uomo che, distrutto dalla gigantesca lotta della vita passata, vede davanti a sé la meta della sua ambizione: l’entrata nella terra felice, l’Eden ridente.
La tecnica della silhouette, affermatasi già a partire dal XVIII secolo, venne ripresa e rivalorizzata dall’artista ormai alla fine nel XIX secolo, in un’epoca in cui si preferiva la precisa e dettagliata riproduzione fotografica. La scelta della silhouette e la preferenza del Maestro per figure nere su sfondo bianco ben si conciliavano con il suo messaggio, offrendogli la possibilità di rappresentare la nudità in maniera innocente.
La prima serie di silhouettes, eseguita da Diefenbach, fu la Kindermusik: trenta fogli in forma di disegno a gesso e carbone, le cui figure bianche su fondo nero evidenziano le leggere linee di contorno dei corpi. La serie venne iniziata dal giovane Diefenbach a Monaco, per alleviare i dolori della madre malata, e poi completata durante il soggiorno a Höllriegelskreuth, tra il 1881 e il 1886 〈12〉. Così Hugo Höppener (Lubecca, 1868 – Woltersdorf, 1948), il discepolo più fedele di Diefenbach, tanto da meritare il soprannome di Fidus, descriveva l’opera: «Ǫuando nell’estate del 1887 andai da Diefenbach, vidi la Kindermusik, una meravigliosa serie di figure infantili, suonanti e danzanti, già quasi completata, in attesa solo dell’ultimo tocco. Vidi qualcosa di straordinario eppure di così spontaneo, un profondo richiamo interiore. Le figure erano immagini poetiche nelle quali si congiungevano armoniosamente la forza musicale primitiva di Böcklin, la grazia pura di Schwind, la semplicità e l’eleganza stilistica dei preraffaelliti […] non trovo alcun paragone a quest’opera, che, prima fra tutte, ha saputo esprimere il nuovo spirito mediante una consapevole bellezza di forme, in uno stile sereno e ottimista…» 〈13〉.
Dai singoli fogli della Kindermusik Diefenbach volle creare poi, con la collaborazione di Fidus, un lungo fregio che doveva dare un’idea più ampia del cammino della sua vita: nacque così il capolavoro Per Aspera ad Astra, un’esecuzione monumentale lunga ben 68 metri, realizzata nel 1888 a Höllriegelskreuth. Diefenbach creò quest’opera in risposta al triste momento in cui fu allontanato dai figli. Tale lavoro, seguito dalla pubblicazione della “favola”, in cui l’autore narrava la vita ideale dell’umanità redenta rappresentata nel fregio, fu poi esposto in una mostra nel 1898 a Vienna, riscuotendo molto successo. L’artista riprese la tecnica delle silhouettes e la trasferì in olio su tela, realizzando un dipinto dalle dimensioni gigantesche, uno straordinario capolavoro per il suo tempo: si tratta di ben trentaquattro tavole singole di 100 x 200 cm. ciascuna, giunte in dono nel 1988 al museo cittadino di Hadamar. Lo stesso fregio fu realizzato, in una seconda versione, come decorazione esterna della sua casa di Capri, ma di esso purtroppo non rimane alcuna traccia.
I protagonisti del “racconto” sono Diefenbach, i figli e Fidus, alla ricerca di quel regno della pace e dell’amore. Attraverso la sua esperienza, egli voleva trasmettere un messaggio ottimistico all’umanità: il viaggio ad astra costava grandi sacrifici, ma era possibile per l’uomo, secondo le concezioni teosofiche. Di fronte ai protagonisti si trova, quindi, il sentiero verso Dio, popolato da una schiera di bambini ed animali spensierati. Le figure danzanti e suonanti e i tanti animali, in una “sfilata di gioia di vivere”, si dimostrano in uno stato di allegra nudità, in un tripudio di movimento inneggiante alla musica, alla danza e al gioco. In una natura incontaminata si muovono figure nude, corpi giovanili, snelli, sani e forti. Le figure danzanti in modo giocoso, indipendentemente dal loro sesso e liberi dalle costrizioni convenzionali, si muovono sfiorate dalle forze elementari della natura: luce, aria e sole.
Timpani, pifferi e trombe annunciano la primavera all’umanità, arpe e campane suonano ed invitano a ballare e a fare un girotondo; sempre più solenne diventa lo sfarzo del celeste corteo, e sempre più potente riecheggia il suono armonioso di strumenti di ogni tipo, prodotto in divina armonia da giovinetti fanciulle e bambini, animati da nobile entusiasmo. Il capolavoro Per Aspera ad Astra può essere dunque considerato il manifesto degli ideali perseguiti dal Maestro: la cultura della nudità, la naturalezza infantile, la riforma dell’abbigliamento, il vegetarianismo e il pacifismo che renderebbero possibile all’uomo l’entrata in un paradiso terrestre in armonia con la natura.
In tutto il fregio riecheggia un messaggio di pace che riflette la lotta di Diefenbach contro la guerra a sostegno del pacifismo da lui perseguito per tutta la sua vita 〈14〉. Alcune silhouettes suonano, reggendola con una sola mano, la salpinx. La salpinx, tra gli aerofoni in metallo senza ancia dotati di una sola canna, normalmente diritta e terminante a campana, la cui lunghezza poteva variare da ottanta centimetri ad un metro e venti circa, si annovera tra i principali strumenti a fiato utilizzati presso i Greci. È uno strumento adatto agli spazi aperti e alle grandi masse per la sua sonorità potente e squillante: emette infatti suoni di grande intensità, permettendo di trasmettere segnali a grandi distanze. Secondo gli scrittori greci, la salpinx si distingueva per il vero e proprio terrore che incuteva nell’ascoltatore in tempo di guerra 〈15〉. La salpinx è utilizzata da Diefenbach non per la battaglia, ma per annunciare la pace santa secondo il messaggio del Maestro: «Non dovete uccidere! Interrompete il massacro di animali e uomini! Pace in terra! Per uomini e animali, pace santa all’intera natura» 〈16〉.
Lo studio del fregio ed in particolare delle pose e degli strumenti raffigurati in esso consente di ipotizzare che l’altro efebo, ritratto con la gamba destra avanzata, il braccio destro sollevato, il palmo della mano rivolto in alto e le guance gonfie per emettere il suono, probabilmente suonasse la salpinx.
〈1〉 R. Causa, Un nuovo museo: Diefenbach alla Certosa, “Nferta napoletana”, 1975, p. 14.
〈2〉 A. Tafuri, R. De Martino, Diefenbach e Capri, Grimaldi & C. Editori, Napoli 2013, p. 9.
〈3〉 Testamento, Capri, luglio-agosto 1909, Diario n. 27.
〈4,5〉 Cit. in P. von Spaun, Catalogo dell'esposizione Diefenbach, Trieste 1899, pp. 14 e 12.
〈6〉 Testamento, Capri, luglio-agosto 1909, Diario n. 27.
〈7〉 Cit. in E. Petraccone, Un artista d’eccezione, “Emporium”, n. 229, gennaio 1914, p. 295.
〈8〉 Vedi A. Tafuri, R. De Martino, op. cit., p. 86.
〈9〉 Vedi P. von Spaun, op. cit., p. 12.
〈10〉 Vedi G. Teresi, Il simbolismo della palma e delle sue radici, “Il pensiero mediterraneo”, 7 agosto 2022 www.ilpensieromediterraneo.it/il-simbolismo-della-palma-e-delle-sue-radici-de-metaphora-palmae-et-radicis-eius/11
〈11〉 P. von Spaun, op. cit., p. 12.
〈12〉 Vedi A. Tafuri, R. De Martino, op. cit., pp. 59-61.
〈13〉 Cit. in M.P. Maino, M. Chiaretti (a cura di), Karl Wilhelm Diefenbach (Hadamar 1851-Capri 1913), catalogo della mostra, Galleria dell’Emporio Floreale, Roma 1979, pag. 52.
〈14〉 Vedi A. Tafuri, R. De Martino, op. cit., pp. 63-69.
〈15〉 Vedi F. Berlinzani, Strumenti musicali e fonti letterarie, “Aristonothos. Rivista di Studi sul Mediterraneo Antico”, 2010, pp. 11-109.
〈16〉 K. W. Diefenbach, Per Aspera ad Astra. Capri 1900. La follia è un’isola, La Conchiglia, Capri 1989, pag. 65.
BIBLIOGRAFIA
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• A. Tafuri, R. De Martino, Diefenbach e Capri, Grimaldi & C., Napoli 2013.
Homepage e sotto: Karl Wilhelm Diefenbach, Per Aspera ad Astra, due silhouettes (Wikimedia).