di Georg Simmel
Il berlinese Georg Simmel (1858-1918) è, insieme a Émile Durkheim e Max Weber, tra i padri fondatori della sociologia. Come si evince dal suo saggio più noto, Filosofia della moda (Philosophie der Mode, 1905), egli fu sempre molto attento ai fatti artistici e culturali, che considerava, al pari di quelli politico-economici, spie eloquenti delle relazioni sociali e del loro evolvere. Come altri suoi scritti, Excursus sull'ornamento esce dapprima su rivista, per diventare poi parte del saggio Sociologia (Soziologie), pubblicato da Simmel nel 1908 presso la casa editrice Duncker & Humblot di Lipsia. In questo caso, il divario cronologico tra l'uscita in rivista e la riedizione in volume è minimo: il testo originale, dal titolo Psychologie des Schmuckes, esce sul n. 15, 1908, del settimanale «Der Morgen. Wochenschrift für Deutsche Kultur», e ricompare poco dopo, con la titolazione Exkurs über den Schmuck, nella Soziologie. Attenzione al titolo tedesco: il sostantivo schmuck significa infatti "gioiello", "monile" e poi, in senso più generale, "ornamento". In questa ambivalenza si gioca tutto il senso della riflessione di Simmel: egli si dedica infatti all'analisi dell'ornamento corporeo (abiti, oreficeria, preziosi), in quanto pertinente al singolo individuo, mentre non prende in considerazione campi quali l'architettura e il design, poiché non si applicano direttamente alla persona. Dal punto di vista immaginativo, la concezione auratica, quasi divinizzata, che Simmel ha del corpo abbigliato, riflette il clima simbolista ed espressionista dell'epoca. Per finire, una notazione sull'anno in cui il testo di Simmel appare: in quello stesso 1908, e sempre in lingua tedesca, prende forma, a Vienna, il manifesto programmatico di Adolf Loos Ornamento e delitto, mentre a Monaco esce il libro di Wilhelm Worringer Astrazione ed empatia. Il 1908 è insomma uno spartiacque nel dibattito sulla decorazione e i suoi rapporti con le arti, inaugurando una prospettiva teorica che, tra iconoclastie e riabilitazioni, persiste ancor oggi. Per l'edizione italiana qui adottata: G. Simmel, Sociologia (traduzione di G. Giordano, introduzione di A. Cavalli), Edizioni di Comunità, Torino 1998, pp. 315-320. Le immagini che corredano il testo sono il frutto di una scelta redazionale.
Nel desiderio dell’uomo di piacere al suo ambiente si intrecciano le tendenze contrarie nel cui gioco alterno si compie, in generale, il rapporto tra gli individui: in esso vi è una bontà, un desiderio di essere di gioia all’altro, ma c’è anche l’altro desiderio che questa gioia e questa “piacevolezza” rifluiscano su noi in forma di riconoscimento e di stima, cioè vengano imputate alla nostra personalità come valore. E questo bisogno cresce a tal punto da contraddire del tutto a quel primo altruismo del voler-piacere: mediante questo piacere ci si vuol distinguere di fronte ad altri, si vuol essere oggetto di un’attenzione che non tocca ad altri, fino ad essere invidiati. Qui il fatto di piacere diventa mezzo della volontà di potenza; e così in parecchie anime si presenta la strana contraddizione per cui esse hanno bisogno di quegli uomini al di sopra dei quali si innalzano con il loro essere e il loro agire, proprio per costruire il loro sentimento di sé sulla coscienza di quelli di essere subordinati ad esse.
Configurazioni peculiari di questi motivi, che intrecciano tra loro l’interiorità e l’esteriorità di queste forme, sono portatrici del senso dell’ornamento. Questo senso consiste infatti nel mettere in rilievo la personalità, nel sottolinearla come distinta in qualche maniera, ma non mediante una manifestazione di potenza immediata, non mediante qualcosa che costringa l’altro dal di fuori, ma soltanto in virtù del piacere che viene suscitato in lui e che quindi contiene pur sempre un elemento di volontarietà. Ci si adorna per sé, e si può farlo soltanto adornandosi per altri. Per una delle più straordinarie combinazioni sociologiche un agire che serve esclusivamente a mettere in evidenza e ad accrescere l’importanza del suo portatore raggiunge il proprio fine esclusivamente mediante lo spettacolo che offre agli occhi degli altri, esclusivamente come una specie di gratitudine di questi altri. Infatti anche l’invidia per l’ornamento significa soltanto il desiderio dell’invidioso di acquisire per sé il medesimo riconoscimento e la medesima ammirazione, e la sua invidia mostra proprio quanto questi valori siano per lui legati all’ornamento. L’ornamento è qualcosa di egoistico, in quanto mette in evidenza il suo portatore, sorregge e aumenta il suo senso di sé a spese di altri (poiché un ornamento eguale per tutti non ornerebbe più l’individuo), e nello stesso tempo è qualcosa di altruistico, perché la soddisfazione che procura è destinata appunto a questi altri – mentre il possessore può goderne soltanto nel momento in cui si specchia – e soltanto con il riflesso di questo dare l’ornamento acquista il suo valore. Come nella configurazione estetica le direzioni vitali che la realtà pone come estranee l’una accanto all’altra, o come ostili l’una contro l’altra, si svelano ovunque intimamente connesse, così nelle azioni sociologiche reciproche, in questo campo di battaglia dell’essere-per-sé e dell’essere-per-altri degli uomini, la formazione estetica dell’ornamento segna un punto in cui queste due direzioni opposte dipendono reciprocamente l’una dall’altra in quanto scopo e mezzo.
L’ornamento aumenta o amplia l’impressione della personalità, agendo per così dire come un’irradiazione di essa. Per questo motivo i metalli brillanti e le pietre preziose sono sempre stati la sua sostanza, sono “ornamento” in senso più stretto che non l’abbigliamento e l’acconciatura dei capelli, che pure “adornano” anch’essi. Si può parlare di una radioattività della persona, in quanto intorno a ognuno esiste per così dire una sfera più o meno grande di importanza che irradia da lui, nella quale chiunque abbia a che fare con lui s’immerge – una sfera nella quale si mescolano inestricabilmente elementi corporei ed elementi psichici. Le influenze sensibilmente percepibili che emanano da un uomo sul suo ambiente sono in qualche modo i portatori di una folgorazione spirituale; ed esse agiscono come simboli di questa anche dove sono effettivamente soltanto esteriori, dove attraverso di loro non passa alcuna forza di suggestione o importanza della personalità. I raggi dell’ornamento, l’attenzione sensibile che suscita, procurano alla personalità un ampliamento del genere o anche un’intensificazione della sua sfera, essa è per così dire di più quando è ornata. Poiché l’ornamento è di solito al tempo stesso un oggetto di valore in qualche modo rilevante, esso costituisce una sintesi dell’avere e dell’essere dei soggetti, e con il semplice possesso si trasforma in percettibilità sensibile ed espressiva dell’uomo. Con l’abbigliamento normale ciò non avviene, poiché esso non investe la coscienza né dal lato dell’avere né da quello dell’essere come particolarità individuale; soltanto l’abbigliamento ornato e in massimo grado i preziosi, che raccolgono il suo valore e il suo significato d’irradiazione come in un punto piccolissimo, fanno sì che l’avere della personalità divenga una qualità visibile del suo essere. E tutto ciò avviene non già nonostante il fatto che l’ornamento sia qualcosa di “superfluo”, ma proprio perchè esso lo è. Ciò che è immediatamente necessario è più strettamente legato all’uomo, circonda il suo essere con una periferia più sottile. Il superfluo “fluisce al di sopra degli argini”, ossia defluisce più lontano dal suo punto di partenza, e poiché viene tuttavia mantenuto legato a questo, esso pone intorno all’ambito della semplice necessità un ambito ancor più comprensivo che è, in linea di principio, privo di confine. Il superfluo non ha concettualmente alcuna misura in sé; con il grado della superfluità di ciò che il nostro avere ci aggrega cresce la libertà e il carattere principesco del nostro essere, poiché nessuna struttura data, come quella che designa il necessario in quanto tale, gli impone una qualsiasi legge limitativa.
Ma questa accentuazione della personalità si realizza proprio mediante un tratto di impersonalità. Tutto ciò che “adorna” l’uomo in generale si dispone lungo una scala a seconda del suo stretto legame con la personalità fisica. L’ornamento più incondizionatamente aderente ad essa è tipico dei popoli primitivi: il tatuaggio. L’estremo opposto è l’ornamento dei metalli e delle pietre, che è assolutamente non-individuale e che ciascuno può mettersi addosso. Tra i due estremi si pone l’abbigliamento, non così privo di possibilità di scambio e non così personale come il tatuaggio, ma anche non privo di carattere individuale e separabile come quell’ “ornamento”vero e proprio. Ma proprio nella sua impersonalità risiede la sua eleganza. Che questo aspetto saldamente chiuso in sé, non rinviante ad alcuna individualità, rigidamente immodificabile della pietra e del metallo venga tuttavia costretto a servire alla personalità, è l’attrattiva più raffinata dell’ornamento. Ciò cheè propriamente elegante evita di mettere in risalto l’individualità particolare, pone sempre una sfera di più generale, di stilizzato, per così dire di astratto intorno alla persona – il che non impedisce ovviamente la raffinatezza con cui viene collegato questo elemento generale della personalità. Il fatto che gli abiti nuovi facciano un’impressione particolarmente elegante dipende dalla circostanza che essi sono ancora piuttosto “rigidi”, cioè non si adattano ancora così incondizionatamente a tutte le modificazioni del corpo dell’individuo come gli abiti portati da lungo tempo, che sono già stiracchiati e piegati dai movimenti particolari di chi li porta e quindi tradiscono in maniere più completa la sua peculiarità. Questa “novità”, questa immodificabilità in base all’individualità è propria in massima misura, dell’ornamento metallico: esso è sempre nuovo, se ne sta con fredda imperturbabilità al di sopra della singolarità e del destino del suo portatore, il che non avviene affatto con l’abbigliamento. Un capo di abbigliamento portato a lungo è come cresciuto col corpo, possiede un’intimità che contrasta con l’essenza dell’eleganza. Infatti l’eleganza è qualcosa per gli “altri”, è un concetto sociale che trae il suo valore dal riconoscimento generale.
Affinché l’ornamento possa ampliare l’individuo in virtù di un elemento sovra-individuale, che si rivolge a tutti e che viene accolto e stimato da tutti, esso deve, al di là del suo mero effetto materiale, avere stile. Lo stile è sempre qualcosa di generale, che reca i contenuti della vita e dell’attività personale in una forma condivisa con molti e accessibile a molti. Nell’opera d’arte vera e propria lo stile ci interessa tanto meno quanto maggiore è l’unicità personale e la vita soggettiva che in essa si esprime; infatti con questa essa fa appello anche al punto della personalità presente nello spettatore, egli è per così dire solo al mondo con l’opera d’arte. Invece per tutto ciò che chiamiamo artigianato artistico, che per il suo scopo di utilità si rivolge a una pluralità di uomini, noi richiediamo una configurazione più generale e più tipica; in esso deve manifestarsi non soltanto un’anima registrata sulla propria unicità, ma un ampio modo di sentire e uno stato d’animo, storico o sociale, che deve rendere possibile il suo inserimento neisistemi di vita di individui molto numerosi. È un grosso errore ritenere che l’ornamento debba essere un’opera d’arte individuale dal momento che deve pur sempre adornare un individuo. Al contrario, poiché deve servire all’individuo, non può avere esso stesso un’essenza individuale, così come il mobile su cui sediamo e la posata con cui banchettiamo non possono essere opere d’arte individuali. Tutto questo, che occupa l’ulteriore cerchia di vita intorno alla persona – in antitesi all’opera d’arte che non è riferita affatto a un’altra vita, ma è un mondo autosufficiente – deve piuttosto circondare l’individuo come in sfere concentriche che si allargano sempre di più, che conducono a lui o che da lui si dipartono. Questo dissolversi dell’accentuazione individuale, questa generalizzazione al di là dell’unicità personale, che reca però come base o come cerchia di irradiazione ciò che è individuale, o lo accoglie come in una vasta corrente che ne fluisce, rappresenta l’essenza della stilizzazione; in base a questo istinto l’ornamento è sempre stato formato in una foggia relativamente rigorosa.
Al di là della stilizzazione formale dell’ornamento il mezzo materiale del suo scopo sociale è costituito da quel brillare dell’ornamento, in virtù del quale chi lo porta appare come il centro di una raggiera dalla quale viene catturata ogni persona che si trova vicina, ogni occhio che guarda. Il raggio della pietra preziosa, in quanto sembra andare verso l’altra persona, come il lampeggiare dello sguardo che l’occhio dirige su di essa , reca il significato sociale dell’ornamento – il suo essere-per-l’altro che, in quanto ampliamento della sfera d’importanza del soggetto, ritorna a questo. I raggi di questa cerchia segnano da un lato la distanza che l’ornamento instaura tra gli uomini: io ho qualcosa che tu non hai – ma d’altra parte essi non soltanto fanno partecipare l’altro soggetto ma brillano proprio nella sua direzione, esistono addirittura soltanto per lui. In virtù della sua materia l’ornamento è distanziamento e connivenza in un unico atto. Perciò esso è così particolarmente utile alla vanità, che ha bisogno degli altri per poterli disprezzare. Qui risiede la differenza profonda tra vanità e orgoglio superbo: infatti quest’ultimo, la cui coscienza di sé poggia realmente soltanto su se stessa, disprezza di solito l’ “ornamento” in ogni senso. A ciò si aggiunge, nella medesima tendenza, il significato del materiale “autentico”. L’attrattiva di ciò che è “autentico”, sotto ogni aspetto, consiste nel fatto che esso è qualcosa di più della sua apparenza immediata, che esso condivide con la falsificazione. Così l’autentico non è, come quest’ultima, qualcosa di isolato, ma ha radici in un terreno al di là della semplice apparenza, mentre il non autentico è soltanto ciò che si vede momentaneamente in essa. Così l’uomo “autentico” è quello di cui ci si può fidare anche quando non lo si ha sotto gli occhi. Questa più-che-apparenza costituisce per l’ornamento il suo valore; infatti questo non può essere visto nell’ornamento, è qualcosa che, di fronte all’abile falsificazione, si aggiunge alla sua apparenza. Per il fatto di essere sempre realizzabile, di essere riconosciuto da tutti, questo valore possiede una relativa atemporalità: l’ornamento viene inserito in una connessione valutativa sovra-accidentale e sovra-personale. I gioielli falsi, la chincaglieria, sono ciò che serve momentaneamente al suo portatore; l’ornamento autentico è un valore che va al di là di questo risultato, esso affonda le sue radici nel principio di valore dell’intera cerchia sociale e vi si ramifica. L’attrattiva e l’accentuazione che esso comunica al suo portatore individuale trae quindi un nutrimento da questo terreno sovra-individuale; il suo valore estetico, che qui è anche un valore “per gli altri”, diviene in virtù dell’autenticità il simbolo di un apprezzamento generale e di un’appartenenza al sistema di valori sociali in genere.
Nella Francia medievale vi era una volta una disposizione che proibiva a tutte le persone al di sotto di un certo rango di portare gioielli d’oro. È qui presente, nella maniera più chiara, la combinazione che sorregge tutta l’essenza dell’ornamento: con esso l’accentuazione sociologica ed estetica della personalità confluiscono come in un punto focale, l’essere-per-sé e l’essere-per-altri diventano a turno causa ed effetto. Infatti la distinzione estetica, il diritto dell’attrattiva e del piacere possono spingersi qui soltanto fino al punto segnato dalla sfera d’importanza sociale del singolo; e proprio in questo modo il singolo aggiunge all’attrattiva che l’essere ornato acquista per la sua apparenza del tutto individuale, l’attrattiva sociologica di essere in virtù di quella un rappresentante del suo gruppo, “ornato” di tutta l’importanza di esso. Sugli stessi raggi che, emanando dall’individuo, danno origine a quell’ampliamento della sua sfera di impressioni, viene recata a lui l’importanza del suo ceto, simboleggiata da questo ornamento; e l’ornamento appare qui come il mezzo per trasformare la forza o dignità sociale in una distinzione personale evidente.
Infine la tendenza centripeta e quella centrifuga dell’ornamento si uniscono ancora in una particolare configurazione quando la proprietà privata delle donne, che in generale nasce più tardi di quella degli uomini, si riferisce nei popoli primitivi in primo luogo, e spesso in modo esclusivo, all’ornamento. Se il possesso personale degli uomini comincia di solito con quello delle armi, ciò rivela la natura attiva e più aggressiva dell’uomo, il quale allarga la sua sfera di personalità senza attendere la volontà di altri. Per la natura femminile più passiva questo effetto, formalmente identico nonostante ogni differenza esteriore, è più dipendente dalla buona volontà di altri. Ogni proprietà è un’estensione della personalità, la mia proprietà è ciò che obbedisce alla mia volontà, in cui il mio io si esprime e si realizza esteriormente; ciò accade maggiormente, e nella maniera più completa, col nostro corpo, e per questo motivo esso è la nostra prima e incondizionata proprietà. Nel corpo adornato noi possediamo di più, siamo per così dire signori di qualcosa di ulteriore e di più nobile quando abbiamo il corpo adornato. Così ha un senso profondo il fatto che soprattutto l’ornamento divenga proprietà privata, perché esso dà luogo a quell’io ampliato, a quella sfera più estesa intorno a noi, che riempiamo con la nostra personalità e che consiste nel piacere e nell’attenzione del nostro ambiente – dell’ambiente che passa davanti senza attenzione alla manifestazione non ornata e quindi per così dire non estesa, non essendo inserita nel suo ambito. Che in quegli stati di cose primitivi diventi proprietà preferita per le donne proprio ciò che in base al suo senso esiste per gli altri, e che soltanto in virtù del riconoscimento di questi altri, che rifluisce su chi lo porta, può servire a quest’ultimo a scopo di accrescimento del valore e dell’importanza del suo io – ciò pone in luce ancora una volta il principio fondamentale dell’ornamento. Per le grandi aspirazioni coesistenti e contrapposte dell’anima e della società – l’elevazione dell’io per il fatto che si esiste per gli altri, e l’elevazione dell’esistenza per gli altri per il fatto che ci si accentua e ci si estende – l’ornamento ha creato una sintesi ad esso solo propria nella forma dell’estetico; e perché questa forma in sé e per sé sta al di sopra dell’antitesi delle singole aspirazioni umane, esse vi trovano non soltanto una coesistenza indisturbata, ma anche quella costruzione reciproca che s’innalza al di sopra del contrasto delle loro manifestazioni, come accenno e pegno della loro più profonda unità metafisica.
Homepage: Georg Simmel in una foto di anonimo del 1914 circa (Wikimedia/Bildarchiv Preußischer Kulturbesitz). Sotto: Gustav Klimt: Ritratto di Rose von Rosthorn-Friedmann, 1900-1901, olio su tela, cm. 140 x 80, Collezione privata (Wikimedia).