Il libro di Rodolfo Papa Discorsi sull'arte sacra, Cantagalli, Siena 2012, è una tra le novità più interessanti nel campo della letteratura artistica recente. Pittore e storico dell'arte, specialista di Caravaggio, con questo libro Papa interviene in un dibattito - quello sull'arte sacra e sulle sue implicazioni specificamente ecclesiastiche - che in questi ultimi anni è assai animato ma, occorre dire, anche confuso e a tratti convulso. Tra monumenti mal riusciti, azzeramenti iconografici all'insegna del “contemporaneo”, dilettantismi di varia specie, capricci architettonici incomprensibili, il libro di Papa porta un contributo di grande chiarezza. In esso le ragioni della fede religiosa non vengono mai meno, ma altrettanto viva è l'attenzione alle dinamiche delle arti. Partendo da una possibile, composita definizione del concetto di arte, l'autore ne analizza, in un ampio ventaglio, le diverse opzioni stilistico-ideologiche. Ed ha il merito di non arretrare di fronte a questioni controverse, se non addirittura tabù nel panorama critico attuale, come la rappresentazione del corpo umano e il rapporto arte-bellezza, rifuggendo tanto lo schematismo quanto la relativizzazione ad oltranza. Papa arriva così a definire un terreno proprio dell'arte sacra, di chi la pratica, di chi deve fornirle tesi, fondamenti, soggetti. Nel passo che segue, tratto dalla pagine 221-222 del libro, egli tratteggia una figura di artista che sconfessa alcuni dei miti deteriori della tarda contemporaneità, a partire dalla svalutazione del dato tecnico. Così dovrebbe essere l'artista cristiano, dice l'autore. Ma l'identikit potrebbe attagliarsi a qualunque artista, al di là del credo religioso e dell'orientamento poetico.
Oggi, riusciamo a comprendere l’importanza della tecnica e delle sue regole soltanto in campi molto ristretti; un esempio molto divulgativo riguarda il mondo dello sport: nell’atletica, nei tuffi, nello sci, nel calcio… la bella esecuzione è tale perché è anche un gesto tecnico. Infatti, senza una adeguata preparazione tecnica, nessuno sport può essere praticato. Nel campo delle arti gli esempi diventano più difficili. Nella musica rimane più evidente la necessità di possedere il linguaggio e la sua tecnica; nel campo delle pittura, invece, le regole del mercato hanno preso il sopravvento, aiutate dai critici che teorizzano che l’arte non deve avere vincoli e principi, se non appunto quelli – imperanti ma non esplicitati – dello stesso mercato. Così come la tanto reclamata libertà dell’artista da ogni regola spesso si traduce paradossalmente in dipendenze di tipo non-artistico, come l’alcool, le droghe o altri vincoli che coartano radicalmente la libertà della persona, ottundendo la ragione. Del resto, le teorie artistiche che sottolineano con una certa ossessiva ricorrenza che l’artista è un essere disadattato e solitario, finiscono quasi per prescrivere il malessere psichico ed esistenziale come un prerequisito fondamentale. Così l’arte, che dovrebbe donare la felicità, diventa un labirinto di dolore, interamente attraversato dall’ansia di successo. Cosicché alla figura dell’artista si sovrappone quella di Faust, disposto a fare patti con il Diavolo, o quella di Prometeo, che sfida gli dei per rubare il fuoco.
Il centro del percorso creativo dell’artista, in un siffatto contesto, è l’artista stesso. In un totale egotismo, l’arte esprime l’io dell’artista e null’altro.
Se riflettiamo bene, invece, comprendiamo che l’artista per essere tale dovrebbe possedere le regole del suo mestiere, e che il presupposto per violarle e superarle è appunto conoscerle. Inoltre il malessere e la perversione non sono richiesti all’artista in quanto tale, ma solo all’artista così come è teorizzato da certi critici e da certi mercanti contemporanei.
In alto: Rodolfo Papa. Sotto: la copertina del libro.