I segnali che il mercato dell’arte 2012 ci invia confermano che l’attuale crisi non è congiunturale ma strutturale. O, per dirla solennemente, “di valori”. Scendono quotazioni e vendite dei mostri sacri. Alcuni di loro, come Cattelan, si sono prudentemente defilati. Le case d’asta internazionali tengono alta la guardia vendendo Action Painting, Pop Art, Avanguardie Storiche, Impressionismo. Le fiere di settore registrano un drastico calo di affari e di presenze. Molte gallerie chiudono per non riaprire più. E l’esercito di pitto-artisti che negli ultimi trent’anni aveva occupato ogni sala civica dov’è finito?
Ricollochiamo il tutto su una carta geografica. A New York, Hong Kong o negli Emirati Arabi la situazione sembra sotto controllo. Tutt’intorno, a Macerata, Forlì o Asti – tre nomi scelti a caso, e il gioco si potrebbe fare ovunque – il commercio d’arte “normale” è fermo. Dove c’era una piramide ora c’è un obelisco: vertice apparentemente intatto, base e livelli intermedi azzerati. In sostanza, si comprano e si vendono solo cadaveri eccellenti, arte in formalina. In questo senso almeno, Damien Hirst è un buon indicatore.
Ricordate i bond argentini? Fu lo scoppio della bolla: investimenti che promettevano tutto, improvvisamente non valevano più nulla. I pretoriani del contemporaneo ci hanno detto fino a ieri che il collezionismo d’arte e il lavoro stesso dell’artista erano come giocare in borsa: ci volevano abilità, sangue freddo, orecchie e occhi aperti. Ed ora? Una legione di collezionisti ha la casa piena di trent’anni di bond, subprime e futures con tanto di vetro, cornice e piedistallo. Posto che non si può intentare una class action contro i piazzisti di queste merci, ci si potrebbe almeno iniziare a chiedere cosa queste merci abbiano mai avuto a che fare con l’arte.
In alto: Angelo Biancini, Monumento a Dante, 1968, bronzo, cm. 170 x 340, Madrid, Parco del Buen Retiro.