Per ragioni storiche ben note (l’eruzione del Vesuvio che ne causò prima la scomparsa, poi, diciassette secoli più tardi, il ritrovamento), le decorazioni murali di Pompei e dintorni sono per noi, oggi, pittura non solo pompeiana o italica, ma romana. Sono cioè la testimonianza-chiave di una civiltà che aveva assimilato la cultura greca, ellenistica ed etrusca, in un movimento espansivo che interessò tutto il bacino del Mediterraneo. In quella civiltà, pittura e decorazione coincidono. Sono pittura i procedimenti tecnici utilizzati per fissare l’immagine sull’intonaco, in particolare l’affresco (termine non del tutto coincidente con la nozione di affresco che ha prevalso dall’età rinascimentale in poi) e l’encausto. È decorazione l’aderire allo spazio architettonico facendone un continuum avvolgente, potenziato ove necessario da rilievi in stucco e altri artefatti tridimensionali.
Ironia della sorte, i riquadri pittorici staccati dai muri di Pompei durante gli scavi si guardano oggi come se fossero “quadri”, oggetti mobili. Ed è appunto per questo che il Museo Archeologico Nazionale di Napoli ha potuto concederli temporaneamente al Museo Civico Archeologico di Bologna, il cui primo direttore, Edoardo Brizio (1846-1907), si era formato in gioventù proprio a Pompei. Ma l’allestimento della mostra bolognese è molto efficace nel ricordare al visitatore, tramite sobrie scenografie che evocano l’interno dei cubicula romani, che quegli strappi erano una cosa sola con le pareti che li ospitavano.
La mostra offre una panoramica dei quattro stili della pittura pompeiana e soprattutto dell’ultimo, il più spettacolare e virtuosistico, che si sovrappone ai primi tre, e la cui fioritura precede di poco la catastrofe del 79 dopo Cristo. Una sala dopo l’altra, se ne analizzano tutte le angolazioni tecniche e immaginative. Questi sono alcuni dei nodi più interessanti su cui le opere in mostra e i relativi pannelli didattici fanno luce: a) il funzionamento dell’équipe di pittori-artigiani, maestri e giovani leve, specializzati in diverse mansioni per velocizzare e semplificare il lavoro; b) la provenienza, il costo e la lavorazione dei pigmenti, disponibili in gamme limitate ma di una vivacità e intensità incomparabili; c) gli utensili, dai pennelli ai fili a piombo ai compassi alle squadre, che, tutti insieme, permettono un trattamento unitario dello spazio, con sfondati prospettici simili alle odierne assonometrie; d) l’utilizzo di cartoni e quadrettature da riporto che coadiuvano l’invenzione figurativa del singolo artista a partire da un repertorio iconografico comune, i cui topoi salienti vengono continuamente riproposti e variati; e) l’emersione di alcune individualità riconoscibili, pur in un contesto artistico in cui l’anonimato è la regola: riconoscibili vuoi per certe costanti formali osservabili in più dipinti, vuoi, invece, per essere nominate dalle fonti, vuoi, ancora, perché la firma di alcuni di loro è stata ritrovata dagli studiosi in margine a un dipinto. E qui si ha la sorpresa di constatare che, tra i nomi di artisti fortunosamente preservati dall’oblio, la maggior parte sono maschili, ma ve ne sono anche, e in misura non trascurabile, di femminili.
L’effetto dei ritrovamenti pompeiani sul gusto artistico a cavallo tra i secoli XVIII e XIX è un altro filo conduttore della mostra. Lo stile all’antica che, in età neoclassica, spopola nell’architettura e negli oggetti, ne è la diretta conseguenza. Nei primi anni della rivoluzione industriale, di fronte all’accelerazione che il mondo sta vivendo, il gusto neoclassico sembra funzionare come una lente di ingrandimento rivolta al passato, ma acquista a poco a poco una forza ideologica tutta moderna. Particolare rilievo ha in questo clima la produzione di copie, rifacimenti e veri e propri falsi, presentati ai facoltosi acquirenti come provenienti dalle aree di scavo. La contraffazione dell’antica pittura romana è un fenomeno imponente e che riguarda anche artisti di primo piano, Anton Raphael Mengs su tutti. Tra astuzie tecniche sempre nuove e diverse, escogitate per simulare al meglio il trascorrere dei secoli, nascono frodi romanzesche, che coinvolgono personaggi insospettabili. Finito l’inganno, resta l’altissimo livello qualitativo di queste immagini ibride, inafferrabili, eclettiche: così false insomma, da apparire ogni volta più vere.
La mostra I pittori di Pompei. Affreschi romani dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, a cura di Mario Grimaldi, apre dal 23 settembre 2022 al 19 marzo 2023 presso il Museo Civico Archeologico di Bologna. Il catalogo, con testi di autori vari e un ricco apparato iconografico e critico, è pubblicato da MondoMostre.
In alto: pittura pompeiana, frammento di decorazione parietale con figura femminile alla porta, dalla Casa di Meleagro (particolare), I secolo d.C., stucco e affresco, Museo Archeologico Nazionale di Napoli (foto © Andrea Dami). Sotto: Artista ignoto, Offerente donna (Elle?), secolo XVIII, mosaico a rilievo, cm. 55 x 41 x 5, Museo Archeologico Nazionale di Napoli.