Da alcuni anni, una strana usanza si è fatta strada fra le amministrazioni comunali italiane, e non solo di piccoli centri ma anche di città di prima grandezza. Ci riferiamo al costume, praticato da un numero crescente di sindaci, di tenere per sé la delega alla cultura, evitando, spesso per l’intera durata del mandato, di nominare un assessore. Al netto degli aspetti giuridici, in buona parte collegati alla legge 81/1993 che disciplina l’elezione diretta del primo cittadino, è interessante domandarsi quale idea di cultura (e di società) vi sia dietro un fenomeno come questo.
La prima cosa che viene in mente è che, se un candidato sindaco volesse tenere per sé la delega ai lavori pubblici, alla sanità o a qualche altro assessorato di peso, la compagine che lo sostiene si scioglierebbe come neve al sole. Con la cenerentola cultura, invece, certi atteggiamenti possono passare inosservati o addirittura essere accolti con soddisfazione, come se si trattasse di un salutare giro di vite.
Ma la definizione “cenerentola” è fuorviante, perché induce a pensare che tutto il problema stia lì, nella (vera o presunta) carenza di fondi destinati alla cultura. In realtà, vi sono in Italia svariate attività culturali che, direttamente o sotto forma di esenzioni e privilegi, percepiscono una quota molto consistente di finanziamenti sia pubblici che privati: si pensi, per fare solo qualche esempio, al teatro lirico, al cinema, ai grandi musei portati in palmo di mano da quello stesso ministero che, senza colpo ferire, umilia gli organi di tutela rappresentati dalle sovrintendenze, sottraendo loro personale e risorse.
In ogni caso, tutto ciò che si muove fuori dal ristretto ambito dell’ “eccellenza” (qualunque cosa significhi questa misteriosa parola) è così vario e complesso, che è impossibile tentarne una lettura d’insieme. Anche per questo, i sindaci e le loro giunte che mettono sotto chiave la cultura fanno pensare a un esperimento sociale che, col silenzio-assenso di gran parte delle forze politiche e sociali, è ormai parte della storia italiana recente.
È un esperimento che tende a confermare – a partire dal basso, cioè dal livello più vicino ai cittadini – quanto già deliberato ai piani superiori, dove siedono alti funzionari, sottosegretari e ministri: la privatizzazione strisciante di molti servizi, non solo culturali ma anche sociali, sanitari e alla persona, che vengono via via riorganizzati sotto l’egida di fondazioni, consorzi, ONLUS. Enti che finiscono con l’esercitare proprio quelle prerogative che le pubbliche amministrazioni fingono di congelare ma, in realtà, devolvono, lasciando che siano altri a esercitarle per loro.
In alto: Bernard Molitor, tavolino da toilette, 1788-90 circa, rovere impiallacciato con intarsi in legni vari, h. cm. 81, Londra, Wallace Collection.