Scompariva settantacinque anni fa, l’8 dicembre 1937, il teologo, filosofo, matematico, chimico, linguista, critico Pavel A. Florenskij. Figura importante nella cultura russa a cavallo della Rivoluzione d’Ottobre, nel 1933 fu condannato a dieci anni di deportazione. Quattro anni più tardi, nella fase più virulenta delle purghe staliniane, veniva fucilato nei pressi di San Pietroburgo. Il reato di “controrivoluzione” che ne aveva decretato la fine era probabilmente da ricollegare al suo pensiero religioso. Dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1911, infatti, non aveva mai rinunciato alle proprie convinzioni, né valsero a salvarlo le importanti ricerche scientifiche svolte durante la prigionia. La prospettiva rovesciata e altri scritti (Gangemi, Roma 1990) e Lo spazio e il tempo nell’arte (Adelphi, Milano 1995) sono le due principali raccolte di suoi scritti sull’arte disponibili in lingua italiana. Da ricordare che proprio in lingua italiana uscì la prima edizione mondiale di scritti di Florenskij fuori dall’Unione Sovietica: La colonna e il fondamento della verità, Milano, Rusconi, 1974, per le cure di un altro grande studioso di culture e tradizioni premoderne: Elémire Zolla. La produzione saggistica di Florenskij coniuga in un tutto unico, spesso senza soluzione di continuità, riflessione filosofica, metafisica, teologica ed artistico-estetica. Basta scorrere un breve testo come Il rito ortodosso come sintesi della arti (1918) per sperimentare l’approccio slavo-ortodosso di Florenskij ai temi della figurazione e, più specificamente, del decoro. Tale approccio prevede la compartecipazione di tutti i sensi e di tutte le tecniche all’esperienza religiosa, esperienza di cui le immagini sono uno dei veicoli.
In alto: Michail Nesterov, I filosofi (Pavel Florenskij e Sergej Bulgakov), 1917, olio su tela, Mosca, Galleria Tretjakov.