Sin dalle origini degli Stati Uniti d’America, i colonizzatori bianchi avevano classificato gli indigeni Cherokee (insieme ai Chickasaw, ai Choctaw, ai Creek e ai Seminole) tra le cinque civilized tribes, ovvero le comunità meglio disposte ad accogliere usi e costumi europei. Durante i secoli XVIII-XIX, i Cherokee accedettero al Cristianesimo, all’uso della scrittura (nel 1834 nacque il Cherokee Phoenix, primo giornale mai pubblicato da una comunità di nativi americani), all’istituto della proprietà privata (incluso il possesso di schiavi di colore). Fra le attività più significative praticate dalle donne Cherokee vi era la fabbricazione di recipienti intrecciati con fibre vegetali variamente lavorate e tinteggiate. Due le fondamentali tipologie di pattern ottenibili: a intreccio semplice (singleweave) e doppio (doubleweave), dove la seconda soluzione comporta, rispetto alla prima, due distinte serie di intrecci, una esterna e una interna al recipiente. Riscoperte a partire dai primi decenni del ‘900, quelle tradizioni ormai lontane ripresero vigore, e molti pattern originari tornarono in auge. Il cestino qui riprodotto, realizzato in doubleweave, è un reperto storico di grande importanza. Fu infatti dopo aver visto una foto di questo oggetto risalente ai suoi antenati e custodito al British Museum di Londra, che una protagonista della rinascita dell’artigianato cherokee, la ricercatrice e insegnante Lottie Queen Stamper (1907-1987), iniziò a cimentarsi coi più sofisticati pattern doubleweave. Il cestino era stato portato in Inghilterra, al suo ritorno in madrepatria, dall’ex governatore della South Carolina Francis Nicholson (1655-1728), pervenendo nel 1753 alle collezioni del British Museum.
In alto: artigianato cherokee, Cestino con coperchio, 1720 circa, giunco intrecciato, cm. 19 x 53 x 20 (le due parti insieme), Londra, British Museum, Sloane Collection.