Perfino Loos sembra consapevole di aver tirato un po’ troppo la corda e sembra voler glissare, imbarazzato, sul problema della qualità del lavoro. Naturalmente, non è la qualità strutturale di un oggetto quella di cui stiamo parlando: una sedia esile e mal assemblata sarà di scarsa qualità sia che la produca un’industria, sia che esca da un laboratorio artigiano. Il parametro qui evocato è un altro, e cioè il quantum di ornamento di cui la sedia necessita. Ebbene, secondo Loos una sedia strutturalmente robusta e ben assemblata assolve talmente bene al suo compito, che l’ornamento è da considerare un delittuoso orpello (per usare il termine dispregiativo caro ai funzionalisti) e nulla più.
Ma l’esperienza storica ci dice che le cose non stanno così. Forse che le forme bizzarre delle moderne sedie in tubo metallico non sono un ornamento? Forse che non lo è l’ostentata, algida geometria dei tavolini in plastica degli anni ’70? Nessuno oggi esibirebbe nel proprio salotto simili oggetti proprio perché, nonostante la loro funzionalità sia rimasta inalterata grazie alla robustezza dei materiali, la forma richiama uno sgradevole (sgradevole proprio in quanto “indecoroso”) effetto vintage, che solo pochi cultori del modernariato possono apprezzare. L’idea di ornamento inteso come generica fioritura di motivi applicati a posteriori sull’oggetto è una mistificazione di cui Loos si fa forte, ma che non regge ad un esame approfondito.
In questo senso, l’affermazione secondo cui «noi possediamo l’arte che ha eliminato l’ornamento» è la chiave di volta del pensiero loosiano. Non bisogna dimenticare che siamo nel 1908: Loos fa leva su poche, embrionali manifestazioni di avanguardismo geometrizzante, presentandole come discriminante in base alla quale condannare tutti coloro (e sono ancora tanti) che intendono arrivare ad un decoro moderno per altre vie, con altri strumenti e programmi. L’equivoco dell’ornamento inteso come superfetazione esteriore impronta tutte le affermazioni di Loos, e si trasmetterà, entro la linea di pensiero da lui inaugurata, alle costruzioni teoriche successive. Ma la storia insegna che l’ideale loosiano del “liscio” non si è realizzato neppure nei paesi del socialismo reale più massificato e collettivistico, perché anche lì lo squallore non poteva eccedere certi limiti. A ben vedere, nemmeno le automobili Trabant prodotte nell’ultraortodossa Repubblica Democratica Tedesca erano completamente “lisce”: esse mostravano un vezzoso accenno di pinne posteriori, mutuato dallo stile automobilistico occidentale degli anni ’50.
Nell’accezione in cui ne parla Loos, l’ornamento esiste solo nella sua mente. Obnubilato dalle sue fobie, il nostro autore non si avvede di una solare evidenza: ossia l’esistenza di una funzione civile del manufatto, da cui invariabilmente discende l’istanza del Decoro. Posto che lo stile secessionista era ormai troppo arzigogolato e cerebrale per poter rispondere alle esigenze della moderna società di massa, perché non applicarsi, come lo stesso Olbrich aveva già fatto, ad una revisione strutturale dell’ornato per adeguarlo alle nuove esigenze di Decoro, improntate a maggiore linearità e sobrietà? Ma Loos preferisce scagliarsi contro i mulini a vento di un fantomatico “orpello”, avvalendosi di tesi palesemente fraudolente. Il suo fanatismo puritano lo porta fuori dall’organico fluire della cultura occidentale, e tale discontinuità genera un gradino su cui molti altri inciamperanno dopo di lui.
In alto: campionario vintage di carte da parati. Sotto: la Trabant fabbricata nell'ex DDR a partire dal 1957.