Il forlivese Andrea Mario Bert (1984) è, ormai da anni, uno straordinario pittore di paesaggi e, in particolare, di cieli. Dapprima sulla scia degli artisti romantici, con opere su tela attraversate da grandi nuvole bianche e popolate di apparizioni trascendenti, poi frastagliando e suddividendo in modi sempre diversi le sue campiture di azzurro, Bert ha riscritto le regole della rappresentazione paesaggistica, ibridando trompe-l'oeil, scenografia e arte urbana. E ne ha fatto un agile dispositivo che gli consente di muoversi con grande libertà fra pittura, installazione ed ambiente, ricomponendo e attivando lo spazio come in un caleidoscopio. La sua impresa più recente, inaugurata poche settimane fa, è un intervento pittorico su due campi da basket e da volley situati nel Parco Dragoni di Forlì. Su questo progetto lungamente elaborato, che coniuga arte e riqualificazione urbana con un minimo di invasività e un massimo di impatto visivo, vertono le dieci domande che Enrico Maria Davoli ha posto ad Andrea Mario Bert.
La decorazione in grande scala è uno dei risvolti più affascinanti della tua ricerca pittorica. Ma sappiamo che non è mai facile mettere d’accordo tutti gli interlocutori – amministrazioni pubbliche, associazioni culturali, sponsor tecnici – di cui vi è bisogno in simili frangenti. Puoi raccontare come ci sei riuscito, misurandoti addirittura con la superficie di due campi da gioco? Chi ti ha offerto assistenza e collaborazione nelle varie fasi del progetto, fino alla realizzazione e alla comunicazione al pubblico?
Tutto è iniziato due anni fa e, pandemia a parte, non è stato facile. Avevo una grande necessità di misurare le mie capacità e mi venne in mente di proporre, a titolo completamente gratuito, un piccolo intervento artistico su uno dei playground della mia città, con il permesso delle autorità comunali, per favorire la rivalutazione appunto di alcune aeree verdi. Il progetto, supportato dalla neonata Olvidados Foundation, ha trovato subito conferme. Ho poi deciso di rendere il progetto più ambizioso, ampliandolo e prevedendo la realizzazione di due campi sportivi completi: pallacanestro e pallavolo. A quel punto si sono unite diverse realtà del mondo della cultura e dello sport, che, insieme al Comune, hanno dato vita ad una grande collaborazione. L’Amministrazione Comunale mi ha fornito le migliori vernici Mapei e io mi sono impegnato a fare, e farmi, il più bel regalo della mia vita. Il progetto, intitolato Campetti celesti e dedicato agli atleti Matteo Margheritini e Vigor Bovolenta, è stato inaugurato il 9 luglio 2021.
Conosco la tua predilezione per la pallacanestro. Quali sono le caratteristiche di questo sport che ti hanno maggiormente intrigato e motivato?
Il progetto nasce essenzialmente dal mio vecchio amore per il basket. Ho giocato per tantissimi anni, e il senso di disciplina che questo sport mi ha donato è oggi prezioso nella mia vita di artista. L’atleta che non solo vince o perde, ma riesce ad emozionare, è per me l’equivalente di un vero artista. La storia di questo progetto nasce sicuramente da una mia immensa volontà di ringraziare questo sport e, forse, di tornare su un playground. Anche se in un modo totalmente diverso.
Soffermandomi ancora sul campo da basket: la soluzione più prevedibile per questa tua impresa avrebbe potuto essere quella di dipingere uniformemente l’intero campo di gioco. Invece hai riservato il tuo classico cielo azzurro a tre soli settori: il cerchio di centrocampo e le due aree in prossimità del canestro. Perché? È stata una decisione presa sin dall’inizio o ci sei arrivato per gradi?
Il progetto iniziale prevedeva il campo intero, ma nelle varie riunioni svoltesi in Comune si è preferito sposare questa soluzione per una migliore fruibilità del campo, che ospita anche partite ufficiali per un torneo estivo. Ciò che ne è risultato è però un effetto armonico con l’adiacente campo da pallavolo, dove invece mi sono potuto permettere di agire nella totalità del terreno di gioco.
I due campi da te decorati si potrebbero anche leggere come delle mappe di luoghi inesistenti, o delle aperture sul vuoto, o dei riflessi nell’acqua, o altro ancora. Sono solo suggestioni vaghe, oppure ci hai lavorato sopra in modo più preciso?
La mia pittura, la mia espressione, permette mediamente di concedersi una considerazione propria, senza che io intervenga a descriverne chissà quali “segreti”. Preferisco, se mi è concesso, rispondere a questa domanda con le parole del superlativo Cesare Pomarici, di Olvidados Foundation, che ha commentato così la mia opera, scrivendo questo testo, poi interpretato dal giornalista e cronista sportivo Federico Buffa, che ha dato la sua voce al video ufficiale del progetto:
Quello da te creato è un ambiente nel quale si ha il cielo sotto i piedi e, al tempo stesso, sulla testa: poco meno di una passeggiata spaziale insomma. Fra i tanti possibili nessi iconografici e simbolici, ce ne sono alcuni che, in questa occasione, senti particolarmente congeniali?
Ci sono cose che accadono perché devono accadere. Me lo spiego così. Il tutto nasce dallo studio degli antichi templi di tutto il mondo, ove l’acqua è parte integrante dell’energia emessa dalla sacralità del luogo; come il filo conduttore, che accende la vita. Il fascino della relazione diretta tra essa e il cielo, mi ha poi portato a concepire diverse soluzioni visive e a trasferire quella sacralità nella mia ricerca stilistica.
Quando si parla di interattività in arte, subito si pensa ai mondi virtuali e alle relative strumentazioni e interfacce d’accesso. Tu hai invece lavorato a uno spazio reale, in cui chiunque può effettivamente muoversi, pensare, agire, tracciare percorsi, da solo o in squadra. Hai qualcosa da aggiungere in proposito?
Ammetto che in questa occasione ho cercato di “limitarmi” semplicemente alla creazione del miglior risultato possibile. Dal 2017 ho iniziato a sperimentare la possibilità di far passeggiare il pubblico sui miei dipinti, creando così la possibilità di un segno alternativo al mio e un tipo di esperienza fruitiva diversa. L’idea di trasferire questo modulo fuori dai muri di gallerie e musei, e posizionarlo in un parco pubblico all’interno di un contesto simile, ha un po’ il sapore di un sogno che diventa realtà.
Di solito, chi decora uno spazio pubblico elabora una propria composizione, sovrapponendola alla composizione architettonica ed urbanistica preesistente. Apparentemente, tu ti limiti a tuffare ogni cosa nella volta celeste e a vedere di volta in volta cosa ne viene fuori. Ed è quasi sempre un prodigio inatteso. Ma cosa succede davvero nella tua pittura?
Mi affascina questa domanda, ma sono un po’ in imbarazzo nel rispondere. Credo semplicemente di essere sincero con me stesso ed esprimerlo attraverso la pittura. Quando creo non penso all’opera in sé, ma alla vita. Ne derivano tante e diverse emozioni, che si traducono in nuvole, o anche solo nel colore e luce del cielo che vanno a comporsi nel dipinto. Prediligo dei colori, ovviamente, ma sono consapevole che dobbiamo essere servi di tutti i colori… Anche di quelli che non vediamo.
Davanti a un’immagine come il cielo, è inevitabile rifarsi a concetti relativi alle dimensioni del sacro e della spiritualità. In che misura e con quali riferimenti (artistici, filosofici, religiosi) ti ci riconosci?
Come detto in precedenza, è inevitabile per un artista confrontarsi con il passato e la spiritualità. Se dovessi riassumere tutto in breve, mi verrebbe da dire che per me il “sacro” ha scelto l’arte per definirsi, in quanto non vi è nulla al mondo di più sacro dell’arte. Due anime gemelle insomma.
Ogni opera d’arte è pensata per l’eternità ma è destinata prima o poi a scomparire. Questo è tanto più vero per la land art, per l’arte pubblica in genere, o per esperienze come questa tua dei campi da gioco, dove le intemperie e l’azione dell’uomo dissolvono giorno dopo giorno il lavoro realizzato. Come ti poni di fronte all’idea che una tua opera possa svanire? Che ruolo gioca la fotografia nel tuo lavoro e, in particolare, nella memoria di esso?
La prima domanda scomoda che mi fu fatta durante la presentazione del progetto fu: “Ma se si rovina?” Io risposi che allora evidentemente qualcuno ci aveva sognato sopra. È inevitabile quando ci si confronta con la land art o l’arte urbana in generale; si deve far fronte all’idea che per vari motivi l’opera deperirà col tempo. Vedo questa opzione come affascinante se pensiamo che tanto del nostro vissuto, o meglio tutto, ad un certo punto diviene ricordo. L’importante è sapere che valore diamo a quel ricordo. Qui ovviamente è fondamentale l’intervento della fotografia e del video, che ci aiutano non poco a ricordare. Per l’occasione, come accennavo poco fa, ha dato la propria voce Federico Buffa che ha creduto tantissimo nel progetto, dando voce ai pensieri di Pomarici in un bellissimo mini-movie di Walter Molfese. Durante le riprese con il drone, tra l’altro, ho osservato per la prima volta il mio dipinto dall’alto, poiché la lavorazione mi ha visto coordinarmi direttamente e solamente con vista a terra. A quel punto mi sono reso conto di essere riuscito a creare un’opera unica per molti aspetti. Per questo progetto, mi ero da subito prefissato di non utilizzare rulli o spray, ma di dedicarmi completamente all’opera tramite l’uso di pennelli, il più grande largo 8 cm. Questo per garantirmi la sicurezza di poter finalizzare, anche se con uno sforzo non so quante volte superiore, la qualità della resa di un mio dipinto su tela. Questo perchè sapevo che la rappresentazione sarebbe stata più viva e pulsante rispetto alla staticità della stesura del colore di un rullo o alla vaporosità industriale degli spray. Del resto mi sono state fornite le migliori vernici sul mercato per quanto riguarda la colorazione di terreni sportivi esterni, garantendo la massima durata possibile.
Dopo questo terreno di gioco, ci sono altri luoghi della vita civile – dedicati allo sport o al lavoro o ad altri momenti della vita – per cui ti piacerebbe elaborare un progetto decorativo ad hoc?
Non posso nascondere che il giorno in cui ho ultimato i lavori per quest’opera ho pensato immediatamente che mi sarebbe mancato lavorarci sopra. È stato massacrante, ma confesso che è stato bellissimo e sono stati dieci dei giorni più belli della mia vita. È stato emozionante regalare alla mia città quest’opera e, ancor di più, che sia stata così voluta e apprezzata. Ora che so di poterlo fare, e soprattutto di poter migliorare ed evolvere il mio lavoro di volta in volta, sogno ovviamente di potermi ripetere, nel contesto sportivo e oltre. Il punto di forza della mia rappresentazione credo stia nell’oggettività del senso che ha l’opera in sé; non lo faccio per parlare di qualcosa essenzialmente, lo faccio perché può migliorare ciò che guardiamo… Proprio perché la bellezza parla da sola. Il cielo in questo ha la priorità di farci sentire più liberi, proprio perché, in fondo, ci unisce tutti… E tutto ciò è bellissimo. Un prossimo progetto per certi aspetti simile a questo è previsto per l’autunno. Con esso rientrerò tra le mura di una galleria, un luogo chiuso dunque, ma che sarò ben felice e onorato di decorare: le sale dell’Istituto Italiano di Cultura di Cracovia, in Polonia. Si tratterà di una personale completamente inedita, in cui cercherò di riannodare i fili della mia ricerca attuale. Il tutto in simultanea con L’ombra del beato regno, una doppia personale che terrò insieme a Mario Sughi, alias Nerosunero, presso l’Istituto Italiano di Cultura di Bratislava, in Slovacchia.
In alto: Un'immagine di Andrea Mario Bert al lavoro, 2021, Forlì, Parco Dragoni. Sotto: Andrea Mario Bert, Pallone da basket "Campetti celesti", 2021 (per entrambe le foto, © Walter Molfese).