Questo libro dedicato all’arredo urbano e alle sue testimonianze più rappresentative, così come si sono affermate nella civiltà dei secoli XVIII-XX, è una lettura appassionante. L’orizzonte visivo va dal rasoterra del piano stradale, dove si scorgono tombini, selciati e marciapiedi, fino al primo-secondo piano di una casa, dove spuntano insegne, targhe e lampioni: un universo saturo di oggetti visti e rivisti, mai veramente conosciuti per quello che sono. Si attraversano così le strade e le piazze di città come Parigi, Londra, Berlino, Vienna, Amburgo, Francoforte, Milano, Roma, Zurigo, per compiere un giro d’Europa che, con un piccolo sforzo d’immaginazione, può facilmente diventare giro del mondo.
Quello che ne esce, grazie anche a un ottimo apparato iconografico, è un quadro molto diversificato, a seconda degli spazi e delle funzioni che ciascun arredo è chiamato a interpretare. Ricordiamoli, questi arredi, scorrendo i titoli dei capitoli riportati nell’indice del libro. Nella prima parte del volume (intitolata “Microarchitetture”), vengono raccontati il chiosco, la trinkhalle, il bagno pubblico, la cabina telefonica, la fermata dei mezzi pubblici, l’accesso alla metropolitana. Nella seconda parte (“Oggetti”) sfilano il monumento, la fontana, la panchina, l’illuminazione pubblica, l’orologio stradale, il paracarro, il cestino dei rifiuti, la targa stradale, il numero civico, il semaforo, la pubblicità. Nella terza parte (“Elementi”) è la volta della vetrina, della recinzione, della pavimentazione, del marciapiede, del tombino. Considerate una ad una, queste presenze sono, come recita il titolo del volume, frammenti. Ma nel loro insieme, esse costituiscono l’essenza stessa della città, così come l’età moderna l’ha immaginata e praticata: un organismo sufficientemente coeso da essere portatore di un’identità, ma anche abbastanza fluido da evolversi dinamicamente nel tempo.
Architetto, storico e docente di fama internazionale, Vittorio Magnago Lampugnani è una personalità agli antipodi rispetto alle archistar che rilasciano dichiarazioni altisonanti ma si guardano bene dal giustificarne gli assunti. E lo si vede sia dalla sua attività in veste di progettista, improntata a sobrietà e attenzione al contesto, sia da quella scientifica, con alle spalle studi vasti e approfonditi. Il suo Frammenti urbani è un’opera godibilissima, intrisa delle stesse atmosfere che hanno stregato alcune delle maggiori personalità della cultura moderna e contemporanea, da Charles Baudelaire ai pittori impressionisti, da Walter Benjamin ai grandi fotografi della scena metropolitana.
Dopo aver chiuso il volume, il lettore ha la concreta percezione di cosa significhi parlare di “decoro urbano”. Non si tratta affatto, come certe anime belle vorrebbero farci credere, di un dispositivo escogitato a scopi meramente amministrativi, contabili e di ordine pubblico. Nel qual caso, non si dovrebbe mettere sotto accusa il decoro urbano in sé, ma semmai chi (amministratori, politici, tecnici) ne fa un uso distorto. Si tratta invece di un insieme di strumenti vitali per la buona manutenzione di una comunità sociale. Strumenti che sono sì partecipi di uno stile, di un gusto, di una cultura – e non potrebbe essere diversamente – ma hanno anche risvolti economici ed occupazionali non secondari, il più delle volte a vantaggio delle classi sociali meno abbienti.
Il libro: Vittorio Magnago Lampugnani, Frammenti urbani. I piccoli oggetti che raccontano le città, Bollati Boringhieri, Torino 2021, pp. 285, euro 25.
In alto: numeri civici a Brno, Repubblica Ceca (foto Lukáš Malý/Wikimedia Commons). Sotto: la copertina del libro.