Il titolo del film diretto trent’anni fa da Massimo Troisi calza a pennello per raccontare diversi casi della vita, in cui tutti si incappa prima o poi. Tutti questi casi, sentimentali e non, hanno in comune l’errore, lo smarrimento. Di situazione in situazione, il/la malcapitato/a di turno mira a un bersaglio per scoprire poi di averne centrato un altro. Nel bel mezzo di un lungo percorso, si rende conto non solo di aver perso la strada, ma che la meta tanto cercata nemmeno esiste. La buona fede genera equivoci e gli equivoci promuovono la buona fede.
Il dibattito sulle arti e le tecniche è pieno di situazioni del genere, spesso alimentate da malintesi linguistici spinti al limite della frode. Il tema della decorazione ha molto da insegnare in proposito. Stando alla vulgata, si può oggi considerare decorativo quasi tutto, purché presenti aggregazioni di materiali diversi, forti stimoli cromatici, texturizzazioni varie. Dagli abiti-scultura fatti di CD e bottiglie di plastica, agli oggetti rotti e ricomposti, agli accrocchi da mercatino delle pulci, le parole decorazione e ornamento vengono usate eufemisticamente (e impropriamente), per surrogare termini assai più consoni come bricolage, fai-da-te, riuso. Dall’amore al calesse insomma, e non necessariamente in quest’ordine.
Alla fin fine, l’amore va bene e il calesse anche: l’importante è scegliere, prima o poi. È il calesse con le ruote a forma di cuore che proprio non va, anche se c’è chi giura di trovarcisi benissimo.
In alto: didracma romano con testa di Giano (recto) e Giove e Vittoria su quadriga (verso), 225-214 a.C. (www.tinianumismatica.com).