L’elenco dei nomi che un motivo ornamentale assume nelle diverse culture che lo accolgono è, già di per sé, un avvincente rompicapo. Sin dai primi anni del secolo XIX, i consumatori europei conoscono come Paisley (dall’omonima città scozzese, culla dell’industria tessile) un motivo originario dell’Asia centrale, giunto in occidente tramite l’importazione di tappeti, scialli e stoffe. Si tratta di una figura stilizzata, simile a una goccia o a un alberello, oggi frequentissima nel design di camicie, cravatte, foulard e altri capi d’abbigliamento. Chiamata Boteh in lingua persiana, Buta in azerbagiano, Ambi in punjabi, essa compare anche in altre lingue asiatiche, quasi sempre con riferimento alla stilizzazione di una pianta o di un frutto (cipresso, palma, mango, fico). Emblema di fertilità ed eternità, il suo apogeo si ebbe nell’impero persiano, in associazione col culto di Zoroastro, in un arco di tempo compreso tra le dinastie Sassanide (224-651 d.C.) e Safavide (1501-1736), ma con origini ben più antiche. Ma la sua fortuna nell’Occidente moderno e secolarizzato, dall’Art Nouveau allo stile pop-psichedelico del tardo ‘900, non è da meno. L’immagine qui riprodotta si riferisce ad uno scialle ottocentesco proveniente dalla regione del Kashmir, a cavallo tra India e Pakistan. Furono manufatti come questo a fare da modello alla produzione meccanizzata, in grande serie e a basso prezzo, di Paisley e di altri distretti tessili nell’Europa della rivoluzione industriale.
In alto: Artigianato del Kashmir, Scialle (bordato con due serie di motivi "Paisley"), 1820 circa, lana, cm. 127 x 270, Ann Arbor, University of Michigan, Museum of Anthropological Archaeology, Koelz Collection of Hymalaian Art.