Nella stasi dell’emergenza Covid, cosa ne è dell’arte passata, presente e futura? Tutto il visibile è trasmigrato sui social, diventando comunicazione allo stato puro. Se si considera che, già nella situazione ante-Covid, il versante mediatico fagocitava una buona fetta dell’attenzione complessiva, viene da pensare a un’evoluzione costante. Fino a qualche settimana fa, ognuno cercava di diventare virale in proprio; adesso è il virus ad essere virale a nome di tutti. Una bandiera insomma.
Questa bandiera sventola anche sulla giungla di mail, post e videomessaggi che le persone dell’arte mettono ogni giorno on line. Le star nazionali e internazionali ci rincuorano dicendo che l’Italia, il paese dell’arte, ce la farà. Le fondazioni che avrebbero dovuto ospitare le loro mostre assicurano che tutto tornerà come prima. Gli uffici stampa aggiornano con contenuti extra i siti web degli eventi e dei musei chiusi. I curatori intervistano gli artisti per sapere come vivono l’emergenza e come immaginano il futuro. Appaiono perfino progetti open source di ospedali d’emergenza ambientati non, come d’abitudine, in qualche megalopoli asiatica o africana, ma tra di noi. Sono idee smart come si vorrebbe far credere o non si tratta, piuttosto, di ripensamenti frettolosi e tardivi?
Il mondo, e non solo quello della scuola, è una grande aula: chi assegna compiti, chi fa i compiti. La simulazione è ancora agli inizi, ma stavolta l’esperimento è iniziato davvero. Vedremo cosa ne verrà fuori. Dovrebbe giovarsene, anche in arte, chi saprà ragionare in termini non di quantità e di impatto – ad esempio l’industria delle grandi mostre, dove ad altissimi investimenti e flussi di visitatori corrispondono benefici pressoché nulli per la collettività – ma di qualità, di invenzione e di ricerca.
In alto: Carlo Ratti Associati con Italo Rota, CURA (Connected Units for Respiratory Ailments), shipping containers outfitted to function as biocontainment pods, 2020 (www.archpaper.com).
.