Gabriel-Albert Aurier è un personaggio di culto della Francia di fine secolo XIX. Nato nel 1865 e morto giovanissimo nel 1892, la sua fama di critico d’arte (ma anche critico letterario, poeta, narratore) è indissolubilmente legata a quella degli artisti che, formatisi alla scuola impressionista, pongono le basi per le evoluzioni successive. Ad uno di loro, Vincent Van Gogh, Aurier dedica un articolo destinato a fare storia: Les Isolés, Vincent Van Gogh, uscito nel gennaio 1890 a Parigi, sul primo numero della rivista mensile Mercure de France. È il primo ed unico scritto dedicato in vita al pittore olandese, pochi mesi prima della sua tragica scomparsa. Aurier vi esibisce una prosa iperbolica, spavalda, empatica, che ne fa un erede e un continuatore della critica d’arte di Baudelaire. Il suo stesso magnetismo personale, così come traspare dal suo ritratto fotografico e dalla versione grafica che Félix Vallotton ne trarrà anni più tardi, incarna al meglio il clima simbolista e decadente, che pervade l’Europa della Belle Époque.
In questa edizione italiana – la prima in assoluto – a cura di Elisa Baldini, Gian Luca Tusini e Giuseppe Virelli, i testi di critica d’arte di Aurier sono suddivisi per sezioni tematiche, così come li aveva voluti Remy de Gourmont, l’amico di Aurier e collaboratore del Mercure che, l’anno successivo alla sua scomparsa, riunì e pubblicò tutti i suoi scritti. In apertura, i tre fondamentali testi teorici di Aurier: Prefazione per un libro di critica d’arte, Il Simbolismo in pittura. Paul Gauguin e I simbolisti. A seguire, gli articoli (tredici in tutto, incluso quello su Van Gogh) in cui Aurier tratta di singoli artisti o recensisce mostre. Poche decine di pagine dunque, ma tali da garantire al loro autore un posto di rilievo nella letteratura artistica che chiude l’800 e prepara l’avvento delle avanguardie storiche. Di sezione in sezione, i tre curatori sottopongono i testi di Aurier ad un’accurata disamina, che ne fa emergere la cifra letteraria e il metodo intepretativo.
Più ancora del visionario Van Gogh, l’interlocutore ideale di Aurier è il riflessivo e intrigante Paul Gauguin, ormai sul piede di partenza per l’isola di Tahiti. È infatti a contatto con l’arte di Gauguin, che Aurier elabora il suo pensiero teorico, auspicando una pittura che sia ad un tempo «ideista […] simbolista […] sintetica […] soggettiva […] decorativa » (vedi p. 69). Al quinto ed ultimo termine, decorativa, Aurier dà particolare enfasi, definendolo come una logica conseguenza dei quattro che lo precedono, e come l’antidoto ad un descrittivismo di tipo naturalistico-aneddotico: «A ben rifletterci – scrive il critico – la pittura decorativa è, a rigor di termini, la vera pittura. Essa è stata creata proprio per decorare con pensieri, sogni e idee i banali muri degli edifici umani. La pittura da cavalletto è una raffinatezza illogica inventata al fine di soddisfare la fantasia o lo spirito commerciale delle civiltà decadenti. Nelle società primitive, i primi tentativi pittorici potevano essere solo decorativi».
Il binomio decorazione-primitivismo darà grande impulso alla ricerca artistica del primo novecento, contribuendo alla fioritura dell’espressionismo e delle correnti astratte. Ad Aurier va il merito di averlo formulato in netto anticipo sui tempi, e in uno stile di rara efficacia comunicativa.
Il libro: G.A. Aurier, Scritti d’arte 1889-1892 (a cura di E. Baldini, G.L. Tusini, G. Virelli; traduzione di A. Napoletti, L. Reggiani), Mimesis Edizioni, Milano 2019, pp. 226, euro 20.
In alto: Anonimo, Ritratto fotografico di Albert Aurier (particolare), 1890 circa, Bibliothèque nationale de France/Wikimedia Commons. Sotto: la copertina del libro.